Uno studio su ecosistemi unici ricchi di ferro, simili agli oceani primordiali, mostra come la vita sia riuscita a sopravvivere e prosperare in un mondo ostile e senza ossigeno.
Uno studio su ecosistemi unici ricchi di ferro, simili agli oceani primordiali, mostra come la vita sia riuscita a sopravvivere e prosperare in un mondo ostile e senza ossigeno, riciclando gli elementi essenziali.
Una finestra sulla Terra primordiale
Nei paesaggi vulcanici del Giappone, alcune sorgenti termali nascondono un segreto vecchio di miliardi di anni. Recenti studi condotti su queste acque, chimicamente simili agli oceani della Terra primordiale, hanno svelato un ecosistema microbico che offre una straordinaria finestra sul passato del nostro pianeta.
Guidata da Fatima Li-Hau presso l’Earth-Life Science Institute di Tokyo, la ricerca ha analizzato sorgenti con alte concentrazioni di ferro ferroso (Fe²⁺) e bassissimi livelli di ossigeno, condizioni che dominavano la Terra tra 2,5 e 3,5 miliardi di anni fa. Come sottolineato dal professor Shawn McGlynn, questi ambienti unici agiscono come un “laboratorio naturale”, permettendoci di osservare oggi i meccanismi che hanno permesso alla vita di muovere i primi passi.
Il paradosso di un mondo senza ossigeno
Per comprendere l’importanza di questa scoperta, dobbiamo tornare indietro nel tempo, a un’era in cui la Terra era un pianeta alieno, privo di piante e animali. L’atmosfera era quasi completamente priva di ossigeno, un elemento che oggi è sinonimo di vita ma che per i primi microbi era un veleno potente. La loro sopravvivenza durante la Grande Ossidazione, l’evento che circa 2,3 miliardi di anni fa arricchì l’atmosfera di ossigeno grazie ai primi organismi fotosintetici, è sempre stata un grande enigma.
Questo evento cambiò drasticamente la composizione chimica del pianeta, ponendo fine all’era dominata dai microbi amanti del ferro e aprendo la strada a forme di vita più complesse come le nostre.

1) 3.850-2.450 milioni di anni fa: nessun accumulo di ossigeno nell’atmosfera.
2) 2.450-1.850: l’ossigeno viene assorbito dalla superficie terrestre e dai fondali marini.
3) 1.850-850: l’eccesso di ossigeno non reagito va a formare lo strato di ozono.
4) 850-540 e 5 da 540 a oggi: l’ossigeno si accumula nell’atmosfera.
Le due curve, verde e rossa, rappresentano il limite inferiore e superiore di concentrazione. (CREDITI: Wikipedia)
Una vita alimentata dal ferro, non dal sole
La risposta trovata nelle sorgenti giapponesi è affascinante: i primi ecosistemi non dipendevano dalla luce solare, ma dal ferro. Essendo solubile e abbondante negli oceani primordiali, il ferro ferroso (Fe²⁺) rappresentava una fonte di energia facilmente accessibile per i microbi antichi. Attraverso un processo di ossidazione, questi organismi lo trasformavano in ferro ferrico (Fe³⁺), una forma insolubile (la “ruggine”), ottenendo l’energia necessaria per vivere. In pratica, usavano il ferro in un modo molto simile a come le piante oggi usano la luce del sole nella fotosintesi, dimostrando che il metabolismo basato su questo elemento è una delle più antiche strategie di sopravvivenza conosciute.
Un ecosistema completo e autosufficiente
La scoperta più sorprendente è che questi microbi non si limitavano a sopravvivere, ma formavano un ecosistema complesso. L’analisi del loro DNA ha rivelato la presenza di cicli biogeochimici completi per il carbonio, l’azoto e lo zolfo. In particolare, è stato identificato un ciclo dello zolfo “criptico”, un meccanismo chiave in cui lo zolfo viene continuamente trasformato e riutilizzato da diversi microbi.
Questo efficiente riciclo degli elementi rendeva l’ecosistema quasi completamente autosufficiente, in grado di sostenersi senza dipendere da risorse esterne: un perfetto modello di sostenibilità primordiale.
Le tecnologie dietro la scoperta
Per svelare questa complessa comunità, gli scienziati hanno utilizzato tecniche di metagenomica. Invece di provare a coltivare i singoli batteri in laboratorio, un processo spesso impossibile, hanno estratto e analizzato tutto il DNA presente nei campioni di acqua e sedimento. Questo approccio ha permesso di identificare oltre 200 genomi microbici e di capire non solo “chi” vive lì, ma anche “cosa fa”, rivelando le loro specifiche funzioni metaboliche e le interazioni ecologiche.

Implicazioni per il futuro e la vita su altri pianeti
Questa scoperta non è importante solo per la storia della vita sulla Terra, ma ha implicazioni concrete per il futuro. Comprendere come questi microbi trasformano i minerali potrebbe avere applicazioni in biotecnologia e nel biorisanamento ambientale. Inoltre, amplia le nostre prospettive nella ricerca di vita altrove.
Se la vita ha potuto svilupparsi in ecosistemi basati sul ferro, allora ambienti simili potrebbero esistere su altri pianeti come Marte, attualmente questa resta un’idea, fino a futuri riscontri. I processi metabolici di questi microbi diventano potenziali biomarcatori, firme biologiche da cercare nelle future missioni spaziali.
FONTI:
Science Daily: Japan’s hot springs hold clues to the origins of life on Earth
Passioneastronomia.it: L’Astronomia e la divulgazione scientifica alla portata di tutti!
