La scienza indiana alla base delle Tavole astronomiche del Sindhind dell’astronomo arabo al-Fazārī

Nella Baghdad dell’VIII secolo l’astronomia islamica cominciò muovere i primi passi a partire dalle tavole indiane e persiane. Secondo una tradizione riportata dallo storico Ibn al-Nadīm, sotto il governo del califfo abbaside al-Manṣūr giunse dall’India una spedizione di matematici e astronomi con lo scopo di far conoscere le scienze indiane. Dopo poco tempo cominciò a circolare nella capitale islamica una traduzione in arabo del Siddhanta, uno dei lavori più importanti del matematico e astronomo indiano Brahmagupta. La traduzione si deve ad un’equipe di scienziati: Yaʿqūb ibn Ṭāriq, Ibrāhīm al-Fazārī – secondo le cui predizioni fu individuato il momento migliore per costruire la città di Baghdad – e, soprattutto, suo figlio Muḥammad ibn Ibrāhīm al-Fazārī, il quale è indicato dallo storiografo al-Qifṭi come primo astronomo ufficiale alla corte abbaside. La scienza di Brahmagupta è pertanto alla base di questa nuova opera in arabo dal titolo Zīj al‐Sindhind (Tavole astronomiche del Sindhind ) – ma conosciuta come Gran Siddhanta – che fa riferimento al sistema di tavole chiamato zīj (dal pahlavi “filo”, poiché l’organizzazione dei dati in tabelle composte di righe e colonne ricorderebbe l’intreccio dei fili nella tessitura) e che sta ad indicare una raccolta di tabelle in grado di fornire la posizione degli astri nel cielo in una determinata data.

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I numeri indo-arabi. Per approfondimenti: https://kids.britannica.com/kids/assembly/view/89478

L’importanza del Gran Siddantha per l’astronomia e la matematica

Lo zīj di al-Fazārī, che conosciamo principalmente attraverso frammenti riportati da studiosi successivi, presentava l’astronomia in una maniera per noi piuttosto insolita, infatti esso era composto di una distesa qaṣīda – un componimento poetico arabo – di tema astronomico in aggiunta alle tavole relative al moto del Sole e della Luna e a quello dei cinque pianeti conosciuti al tempo (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno). Esso fu il primo testo astronomico islamico basato sui metodi indiani e rimase, di fatto, la fonte principale di riferimento fino all’epoca del califfo al-Ma’mun (IX secolo d.C), quando l’interesse si spostò verso il mondo greco e si cominciarono a tradurre i testi e le tavole di Tolomeo. Per quanto riguarda la matematica, invece, Il Siddantha di al-Fazārī detiene l’importante merito di aver trasmesso al mondo islamico l’uso dello zero e la numerazione posizionale, così come da indicazioni del matematico indiano. Il titolo più famoso dell’opera, Gran Siddantha, si deve ad un altro astronomo, il persiano al-Khwārizmī (di cui parleremo in seguito), il quale portò a compimento l’opera del suo predecessore, dandole, infine, il nome di Zīj al‐Sindhind al‐kabīr, in arabo ﺯﻳﺞ ﺍﻟﺴﻨﺪﻫﻨﺪ ﺍﻟﻜﺒﻴﺮ (Il Grande Zīj al‐Sindhind). Al-Fazārī è inoltre ricordato per essere stato il primo tra gli scienziati musulmani a costruire un astrolabio, strumento già conosciuto ai greci ma che gli arabi perfezionarono a tal punto da arrivare a produrne i modelli più tecnologicamente avanzati.

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Astrolabio arabo del XIII sec. conservato presso l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze.
Link: https://brunelleschi.imss.fi.it/mediciscienze/imed.asp?c=35347
Fonti:
  • Beas Portillo Carlos, Las matemáticas y la astronomía en el mundo musulmán según el catálogo de Muhammad lbn Ishak an-Nadîm, Pontificia Universidad Católica del Perú, ARETÉ revista de filosofía Vol. VIII. N2 1, 1996.
  • it.wikipedia.org
  • Moller Violet, La mappa dei libri perduti: Come la conoscenza antica è stata perduta e ritrovata: una storia in sette città, Mondadori, 2019.
  • Pingree David, The Fragments of the Works of Al-Fazārī in Journal of Near Eastern Studies, Vol. 29, No. 2 (Apr., 1970), pp. 103-123, The University of Chicago Press
  • https://www.treccani.it/enciclopedia/brahmagupta/
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