È la quota oltre la quale il corpo umano non può stare. Gli alpinisti la conoscono bene e si trova al di sopra dei 7.600-8000 metri di altezza: qui il corpo umano comincia a morire perché in carenza di ossigeno.

Se siete appassionati di montagna o avete avuto modo di vedere film come “Everest”, avrete sicuramente sentito parlare della “zona della morte”. Si tratta di un limite idealmente posto oltre i 7.600 metri oltre il quale il corpo umano inizia a morire. Letteralmente. Cerchiamo di capire il perché e come alcune persone sono riuscite a tornare indenni da queste altitudini.

La zona della morte si trova ai limiti della troposfera. Credit: mssbti.com

Perché si chiama “zona della morte”

Secondo la EASA (l’Agenzia Europea della Sicurezza Aerea), sopra i 7.600 metri s.l.m. ci si trova ai limiti della troposfera. Equivale alla quota di crociera di un 747 e in quella zona la ridotta presenza di ossigeno rende la vita umana impossibile. Come vi avevamo già anticipato in un precedente articolo, a queste altitudini la percentuale di ossigeno nell’aria è solo del 21% e il nostro organismo non riuscirebbe a stare più di qualche giorno senza andare incontro a morte certa. Le cellule del nostro corpo, infatti, iniziano a morire e le funzioni vitali si riducono man mano con il passare del tempo. Ecco perché gli alpinisti sono soliti (ma adesso è diventato anche obbligatorio) scalare il monte Everest con l’ausilio delle bombole d’ossigeno. Anche in questo caso, però, ogni minimo movimento causa tachicardia e affanno e per quanto ci si provi, non si riesce a dormire.

Gli strati dell’atmosfera terrestre.
Credit: Wikipedia.

Una delle conseguenze di un’esposizione prolungata del nostro corpo nella zona della morte è la cosiddetta ipossia. Si tratta di una condizione patologica determinata, appunto, dalla carenza di ossigeno nell’intero organismo. Per alcune persone i problemi sono sorti, addirittura, sopra i 5mila metri e molti esperti alpinisti hanno perso la vita sfidando quote così proibitive.

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