La storia di Plutone, il presunto ‘pianeta’ X che si trovava al posto giusto nel momento giusto, nonostante si cercasse qualcos’altro.

A grandi domande spettano grandi risposte. Grandi come un pianeta. E’ ciò che pensò l’astronomo statunitense Clyde William Tombaugh, quando, nel 1930, scoprì con un astrografo di 13 pollici ciò che venne allora definito Pianeta X: il corpo celeste ipotizzato agli inizi del Novecento perché si cercava la causa della presunta perturbazione delle orbite di Urano e Nettuno. Ma se vi dicessi che il ‘pianeta’ venne scoperto per errore?

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Lo Sputnik Planitia, su Plutone, catturato dalla navicella spaziale New Horizons della NASA. Crediti: NASA/JHUAPL/SWRI.

Ci si accorse poi, infatti, che quella perturbazione non c’era. E Plutone, si scoprì poi, risultava fin troppo piccolo per influenzare i due pianeti con la sua attrazione gravitazionale. L’anomalia dei calcoli astronomici fu spiegata nel 1989, quando vennero ricalcolate le loro orbite, grazie alle nuove masse rilevate dalla sonda spaziale Voyager 2, lanciata nel 1977 dalla NASA da Cape Canaveral: non essendoci nessuna perturbazione, perciò, non c’era nessun pianeta X da cercare.

Eppure Plutone fu trovato. Si trovava al posto giusto nel momento giusto, nonostante si cercasse qualcos’altro, qualcosa che non c’era. Era stato trovato il ‘pianeta’, o almeno così sembrava. Perché poi, alla fine del XX secolo, la scienza dovette riconoscere che non lo era. Plutone fu così classificato tra i Pianeti fino alla fine del XX secolo, quando cominciò a essere considerato un oggetto della Fascia di Edgeworth-Kuiper. Per il verdetto finale bisognò attendere il 2006, anno in cui l’Unione astronomica fornì una definizione ufficiale di pianeta: “oltre ad orbitare attorno al Sole, la massa del corpo celeste dev’essere sufficiente affinché la sua gravità vinca le forze di corpo rigido assumendo una forma di equilibrio idrostatico”. E Plutone, in effetti, rispettava i due requisiti. Ne mancava, però, un terzo: ovvero “la gravità del pianeta deve essere tale da ripulire la sua orbita”.

A seguito di una votazione, l’ex-pianeta X venne designato ‘(134340) Pluto’ ed entrò a far parte dei pianeti nani nel catalogo del Minor Planet Center. In una conferenza del 2008 presso la Johns Hopkins University, in Baltimora, nel Maryland, si presentò nuovamente la questione della definizione di pianeta: un comunicato stampa annunciò che gli scienziati non trovavano un consenso sulla definizione. Ma, poco prima della conferenza, annunciarono che con ‘plutoide’ si sarebbero indicati Plutone e altri oggetti simili con semiasse maggiore dell’orbita maggiore di Nettuno. E così l’oggetto scoperto per un imprevisto si rivelò, in fondo, una novità assoluta.Tale da essere classificato in modo unico e, anzi, diventare esso stesso una definizione per antonomasia.

Ma le peculiarità di Plutone, quelle che lo distinguono dal resto dei pianeti del Sistema Solare, non finiscono qui: con una distanza dalla stella madre che oscilla fra 7.37 miliardi di km all’afelio e 4.43 miliardi di km al perielio, Plutone si trova periodicamente più vicino al Sole rispetto a Nettuno e, con una velocità media di 4669 metri al secondo, un anno su Plutone dura circa 247,8 anni terrestri: dato ancor più straordinario se si pensa che la sua scoperta risale a soli 86 anni fa, nemmeno il tempo sufficiente per percorrere mezza orbita. Nel 2006 la sonda spaziale New Horizons, sviluppata dalla NASA, venne lanciata dalla base di Cape Canaveral alla volta di Plutone e del suo satellite naturale Caronte per creare una mappa della loro superficie, analizzarne l’atmosfera e la ionosfera, ma anche per studiare altri satelliti minori e non solo, mentre trasporta una parte delle ceneri di Clyde Tombaugh. Il sorvolo ravvicinato con il pianeta nano avvenne nel 2015 e i dati che giungono dalla sonda continuano a stupirci. Ma questa è tutta un’altra storia.

L’imprevisto c’è. Anche su Plutone. Anche a circa 5.4 ore luce da noi… e forse anche più lontano.

Fonti: NASA, BBC.

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