Le recenti osservazioni del telescopio Webb hanno rivelato serbatoi di polvere intorno a due supernove. La quantità trovata dai ricercatori supporta la teoria secondo cui le supernove hanno avuto un ruolo chiave nel fornire polvere all’universo primordiale.

Uno dei componenti essenziali del nostro Universo è la polvere. All’interno delle galassie, le stelle e i relativi pianeti si formano proprio a partire da addensati di polvere e gas. Ma da dove viene esattamente questa polvere? È una delle domande a cui gli scienziati cercano di rispondere da decenni e il telescopio Webb ci sta dando una mano.  

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Sembra essere ormai ampiamente accettato dalla comunità scientifica che la polvere da cui le stelle e i pianeti prendono vita provenga per una buona frazione dalle supernove, gigantesche esplosioni che avvengono alla fine della vita di stelle massicce. Con la loro straordinaria potenza, queste esplosioni contribuiscono a spargere nello spazio gli elementi necessari che, una volta raffreddati, si trasformeranno nella polvere che darà vita ad una nuova generazione di stelle e pianeti, come in un continuo ciclo di nascita e morte. Tuttavia “finora le prove dirette di questo fenomeno sono state scarse, in quanto le nostre capacità ci hanno permesso di studiare la popolazione di polveri in una sola supernova relativamente vicina – la Supernova 1987A, a 170mila anni luce dalla Terra”, spiega Melissa Shahbandeh della Johns Hopkins University e dello Space Telescope Science Institute. “Quando il gas si raffredda a sufficienza per formare polvere, questa è rilevabile solo alle lunghezze d’onda del medio infrarosso, a patto di avere una sensibilità sufficiente”. 

Per supernove più distanti della SN 1987A, è necessaria una combinazione di copertura delle lunghezze d’onda e di sensibilità, che può essere attualmente raggiunta solo con lo strumento MIRI (Mid-Infrared Instrument) del telescopio spaziale James Webb. I ricercatori hanno di recente utilizzato proprio il telescopio Webb per osservare due supernove distanti, SN 2004et e SN 2017eaw, entrambe nella galassia NGC 6946, a circa 22 milioni di anni luce dalla Terra. Le osservazioni hanno rivelato grandi quantità di polvere all’interno del materiale espulso da ciascuna di queste esplosioni. La massa trovata dai ricercatori supporta la teoria secondo cui le supernove hanno avuto un ruolo chiave nel fornire polvere all’universo primordiale. 

Galassia ripresa dal Webb
Le osservazioni di Webb delle supernove 2004et e Supernova 2017eaw, nella galassia a spirale NGC 6946, a 22 milioni di anni luce dalla Terra. Crediti: NASA, ESA, CSA, Ori Fox (STScI), Melissa Shahbandeh (STScI), Alyssa Pagan (STScI)

Un altro risultato particolarmente importante è la quantità di polvere rilevata in questa fase iniziale della vita delle supernove. Nella SN 2004et, i ricercatori hanno trovato più di 5mila masse terrestri di polvere. “Se si guarda alla quantità di polvere che vediamo soprattutto nella SN 2004et, si può dire che rivaleggia con le misurazioni della SN 1987A, anche se la prima ha solo una frazione dell’età della seconda”, ha spiegato Ori Fox, responsabile del programma dello Space Telescope Science Institute. 

Le osservazioni hanno mostrato agli astronomi che le galassie giovani e lontane sono piene di polvere, ma queste galassie non sono abbastanza vecchie perché le stelle di massa intermedia, come il Sole, abbiano potuto fornire la polvere. Stelle più massicce e di breve durata invece potrebbero essere morte abbastanza presto e in numero sufficiente per creare tanta polvere. 

Galassia ripresa dal Webb
La galassia NGC 6496 ripresa dal Kitt Peak National Observatory. È evidenziata la posizione della Supernova 2004et e della Supernova 2017eaw all’interno della galassia. Crediti:  KPNO, NSF’s NOIRLab, AURA, Alyssa Pagan (STScI)

La presenza di questa quantità di polvere in questa fase della vita di SN 2004et e SN 2017eaw suggerisce anche che la polvere può sopravvivere all’onda d’urto della supernova stessa – una prova che queste esplosioni sono realmente importanti fabbriche di polvere. SN 2004et e SN2017eaw sono i primi due dei cinque target inclusi in questo programma di osservazioni. 

Fonte: NASA