Un nuovo studio suggerisce che la fine dell’universo arriverà molto prima di quanto indicassero i nostri calcoli precedenti.
Per capire perché gli scienziati temono che la fine dell’universo si verificherà prima di quanto pensassimo, dobbiamo rispolverare per un attimo alcuni concetti sviluppati dal compianto Stephen Hawking. La radiazione di Hawking, in particolare, è un fenomeno previsto dalla fisica teorica, legato all’evaporazione dei buchi neri e potrebbe avere un ruolo nella fine dell’universo. Esso porterebbe i buchi neri a perdere massa nel corso del tempo, contribuendo a un’eventuale fine termica dell’universo.
“La fine dell’Universo arriverà molto prima del previsto”, ha spiegato l’astrofisico Heino Falcke della Radboud University nei Paesi Bassi. “Fortunatamente, ci vorrà ancora molto tempo”. A ipotizzarlo uno studio a seguito di un articolo del 2023, in cui Falcke e i suoi colleghi, Michael Wondrak e Walter van Suijlekom, avevano scoperto che i buchi neri non sono gli unici oggetti nell’Universo a emettere radiazione di Hawking. Piuttosto, oggetti meno densi potrebbero subire una graduale “evaporazione” sotto forma di radiazione di Hawking.
La fine dell’universo

Il nocciolo della questione è che la radiazione di Hawking, ovvero la produzione spontanea di particelle che si disperdono portando con sé parte dell’energia del buco nero, può verificarsi anche a curvature spazio-temporali meno estreme. In genere si pensava che fosse necessario un orizzonte degli eventi, ovvero il punto in cui l’attrazione gravitazionale di un buco nero è così forte che nemmeno la luce può sfuggirgli. Tuttavia, nello studio del 2023, il team ha scoperto che potrebbe verificarsi anche attorno ad altri oggetti ultradensi o molto massicci. Ciò significa che anche la deformazione dello spazio attorno a stelle di neutroni e nane bianche, così come a enormi ammassi di galassie, dovrebbe facilitare l’evaporazione, secondo il modello degli astronomi.
Quanto tempo ci vorrà?
Per una nana bianca, il team ha calcolato una durata di vita di 1078 anni, stabilendo così un limite massimo approssimativo per la durata di vita della materia ordinaria nell’Universo. La Luna impiegherebbe 1089 anni per evaporare. Un corpo umano impiegherebbe 1090 anni, mentre un buco nero supermassiccio impiegherebbe 1096 anni, mentre l’alone gigante di materia oscura che avvolge un superammasso galattico impiegherebbe 10135 anni. Anche questo è molto più breve dei 101100 anni di durata stimata in precedenza dagli scienziati.
Cosa rischiamo come umanità?
Niente paura. Anche se l’umanità dovesse in qualche modo diventare “interstellare” prima della morte del Sole, tra 5 miliardi di anni, dovremmo in qualche modo continuare a esistere per un periodo molte volte superiore all’attuale durata di vita dell’Universo. Ciò che gli astronomi sperano è che i loro risultati ci aiutino a comprendere un po’ meglio l’universo, prima di dirgli addio come specie. E per questo, almeno, potremmo avere ancora tempo. La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics.
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