Spesso si sente dire che le particelle quantistiche ruotano su sé stesse. Ma quanto c’è di vero? Scopriamolo insieme.

Come forse già saprai, vi è una proprietà intrinseca delle particelle quantistiche nota come “spin” (traducibile dall’inglese con “rotazione”). Per esempio, lo spin di un elettrone può valere più, o meno, un mezzo (±0.5).

Due co-protagonisti della serie televisiva “The Big Bang Theory”, Penny e Sheldon, mentre discutono circa il decadimento del quark top, un’altra particella elementare con spin pari a 0.5. Copyright: dominio pubblico.

Eppure esso non ruota su sé stesso per davvero. O meglio, non nel senso classico del termine. Per una trottola o un ballerino, da un certo sistema di riferimento, si può osservare un corpo che effettivamente ruota attorno a un asse idealmente passante per il suo centro di massa. Ma ciò non funziona per l’elettrone.

A grandi linee, infatti, una rotazione attorno a un proprio asse implica la presenza di una qualche forma di energia (per esempio, la massa) estesa nello spazio, la quale percorre un moto circolare rispetto all’asse stesso. L’elettrone, però, non ha un’estenzione: nonostante sia provvisto di una certa distribuzione di probabilità di trovarsi in un punto dello spazio anziché in un altro, esso è considerato un oggetto puntiforme (a tutti i fini pratici, non riusciresti mai a individuare dove inizia, o finisce, una particella elementare). E non puoi, chiaramente, misurare la rotazione di un punto materiale.

Lo stesso vale anche per altre proprietà quantistiche. Se questi temi ti sono nuovi, capisco che forse all’inizio possa sembrarti strano sapere che gli scienziati descrivono le particelle quantistiche, e non solo, mediante proprietà di cui non puoi crearti una sorta di immagine visiva – come, al contrario, sei generalmente abituato a fare per gli oggetti della vita di tutti i giorni.

Insomma, le analogie tra il mondo microscopico e quello macroscopico sono particolarmente limitate. In altre parole, non puoi mica immaginare un elettrone ruotare solo perché in passato hai fatto esperienza di un pattinatore che piroetta sul ghiaccio. Non puoi davvero rappresentare graficamente lo spin, perché al livello di particella elementare la nozione di vista (con qualsivoglia strumento) perde di senso.

A ogni modo, anche assumendo, per assurdo, che l’elettrone giri attorno a sé stesso, risulterebbe che i punti sulla sua superfice (ammesso che questa esista, eventualità che abbiamo già escluso in precedenza) si muoverebbero più velocemente della luce nel vuoto. Tale risultato, però, andrebbe in contraddizione con la già abbastanza comprovata teoria della Relatività Speciale, presentata da Albert Einstein nel 1905.

Perché, allora, l’hanno chiamato proprio “spin”?

La sua introduzione risale alla prima metà del secolo scorso da parte del famoso fisico Wolfgang Pauli nel 1924. Egli, nel tentativo di spiegare la struttura degli spettri atomici e della tavola periodica, aveva recentemente postulato che gli elettroni fosserò caratterizzabili anche mediante, appunto, una grandezza fisica in grado di assumere solo due valori distinti, ma che non era descrivibile classicamente.

Si sapeva solo che questa nuova quantità aveva delle proprietà algebriche, in qualche modo, simili a quelle di una ben nota grandezza classica: il cosiddetto momento angolare (esso descrive lo stato di rotazione di un corpo in regime classico; tipicamente per oggetti macroscopici). Si decise, così, di nominarlo “spin” per una mera analogia – solo a livello di formalismo matematico – col momento angolare.

Se ti interessa approfondire ulteriori tematiche legate alla meccanica quantistica, ti consiglio la lettura di Zero assoluto: ecco come è stato superato per la prima volta.

Fonti: Scientific American, Cambridge.

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