Per anni sono state alimentate leggende (sopratutto grazie ad intercettazioni radio) in merito a presunte a morti, non dichiarate, di cosmonauti nello spazio. Ecco la verità

Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente.” La frase, pronunciata da Winston Churchill in un convegno a Fulton, negli Stati Uniti, il 5/5/1946, è passata alla storia per definire il pesante velo di segretezza che ha diviso, dopo la II Guerra mondiale, i paesi dell’Ovest Europa da quelli dell’Est. Ed anche in ambito spaziale, l’Unione Sovietica custodiva, come in quello militare, gelosamente i suoi segreti. All’alba dell’Era Spaziale, quindi, presero piede molti sospetti “al di qua della cortina di ferro” che tragedie avvenute nello spazio da parte Sovietica venissero tenute nascoste. Alimentati da prove indirette come intercettazioni di radioamatori, persone che sparivano da fotografie e video e chi più ne ha più ne metta, questi mitologici “cosmonauti scomparsi” hanno creato un sottobosco di speculazioni e congetture addirittura arrivati anche “dall’altra parte”.

Ci tengo a precisare che, fino alla fine degli anni ’90 del XX secolo, quando i documenti del programma spaziale sovietico degli anni ’60, ’70 ed ’80 vennero a poco a poco desegretati, se non esistevano prove oggettive sulla falsità di tali congetture, non esisteva neppure qualcosa che li confutasse. Di contro, soprattutto per “merito” delle intercettazioni radio dei radioamatori italiani Achille e Giovanni Battista Judica Cordiglia, che nei primi anni ’60 sostenevano di aver ascoltato trasmissioni radio sospette e, in alcuni casi, drammatiche, questo filone prese decisamente piede con libri, trasmissioni Tv, documentari.

Fratelli
I radioamatori italiani Achille e Giovanni Battista Judica Cordiglia

Ma ripercorriamo una carrellata di nomi di questi “Silenziosi eroi dimenticati”

Il primo testimone (indiretto) di una tragedia spaziale fu nientedimeno che lo scienziato tedesco Hermann Oberth che nel 1959 asserì che, l’anno prima, dal poligono di Kapustin Jar era stato lanciato un cosmonauta in volo suborbitale e che lo stesso era deceduto. Peccato che Hermann Oberth non fu mai in grado di rivelare quale fosse la sua fonte. Nel dicembre del 1959, un’agenzia italiana, la “Continentale” (noi italiani in questa speculazione siamo stati decisamente i più prolifici protagonisti…), asserì che, secondo “un alto esponente del Partito Comunista Cecoslovacco”, tre cosmonauti sovietici sarebbero morti in altrettanti voli suborbitali. A suffragio di questa notizia venne portato un articolo della rivista “Ogonjok” (Fiaccola), dove si vedevano uomini in tuta spaziale con i loro nomi: Belokonov, Kashur, Grashov, Michailov e Zakadovskji. Questi nomi non risultarono, in seguito, mai associati al programma spaziale, pertanto, si definì che si trattasse di cosmonauti deceduti in altrettante missioni segrete. Abbiamo già, quindi, i primi “caduti” in questo particolare “Pantheon”. Ma vedremo, poi, di chi si trattava in realtà.

Un altro autorevole sostenitore della vicenda dei cosmonauti perduti fu il famoso scrittore di fantascienza americano Robert Anson Heinlein (Fanteria dello Spazio, Straniero in terra straniera per citare le sue opere più note). Asserì che un cadetto dell’Armata Rossa, durante un suo viaggio in URSS, gli aveva confidato che il 15/5/1960 l’Unione Sovietica aveva effettuato un volo orbitale ma che il cosmonauta Vladimir Iljus’hin, era stato costretto a lanciarsi in territorio cinese a causa del malfunzionamento dei retrorazzi di frenata che ne avevano alterato la traiettoria. Questo stesso lancio, da altre fonti, francesi e britanniche, venne fatto “slittare” al 7 aprile 1961 (qualche giorno prima di Gagarin che volò il 12…). Un altro fantomatico cosmonauta deceduto, forse il primo “fedifrago dello spazio” pare sia scomparso due volte… La prima, a detta della sedicente moglie, nel 1967 in un volo segreto. La seconda, sei anni prima, nel 1961, addirittura in un volo in coppia con la moglie, evidentemente un’altra, tale Ludmila Serakovna. Il nome del fenomeno bigamo morto due volte? Anatolj Tokov.

Altri nomi associati a disgrazie tenute segrete furono:

● Aleksej Ledovskij (novembre 1957)

● Serenti Šiborin (febbraio 1958)

● Andrej Mitkov (gennaio 1959)

Che si suppone siano morti in voli suborbitali;

● Gennadij Zavadovskij (maggio 1960)

● Ivan Kačur (settembre 1960)

● Pëtr Dolgov (ottobre 1960)

● Aleksis Gračov (novembre 1960)

● Gennadij Michailov (febbraio 1961)

● Ludmilla Serakovna o Tokova (maggio 1961)

● Aleksis Belokonov (maggio 1962)

Deceduti, invece, in voli orbitali.

● Nikolaj o Anatolij Tokov

● N.K. Nikitin

Questi ultimi deceduti in addestramento. Notare Tokov che pare sia morto addirittura tre volte…

Parliamo, ora, più nel dettaglio delle intercettazioni effettuate dai Fratelli Judica Cordiglia a Torino

Il 28/11/1960 affermarono di aver ascoltato un segnale Morse di S.O.S. proveniente da un punto fisso nel cielo che diventava sempre più debole come se il veicolo si stesse allontanando nello spazio. All’epoca, però, l’URSS non possedeva ancora il lanciatore Proton, che gli avrebbe consentito di lanciare una persona fuori dall’orbita terrestre. Pertanto, con il solo lanciatore R7 dei veicoli Vostock, disponibile all’epoca, tale traiettoria in uscita non era tecnicamente possibile con un essere umano a bordo. Invece in quel periodo venne lanciato lo Sputnik-6, una Vostock senza esseri umani a bordo ma con due cani, Pcjolka e Mushka. Questa missione aveva un’orbita con un apogeo molto alto (262 km). Ciò per permettere alla Vostock di decadere dall’orbita in modo naturale senza dover frenare coi retrorazzi. Ma questa caratteristica orbitale dava, ad un ascoltatore a terra del segnale radio, l’illusione che il veicolo stesse allontanandosi. La navicella aveva una radio di bordo (che trasmetteva in Morse) ed un impianto TV. La Sputnik-6 esplose al rientro, ufficialmente per un errato ingresso in atmosfera. Ma visto che la sezione di rientro, chiamata SA, della Vostock rientrava con traiettoria balistica con qualsiasi angolo poiché di forma sferica, sembra che, invece, venne fatta esplodere per non farla cadere in territorio americano dove sarebbe atterrata a causa di un errore del calcolo della traiettoria di rientro. Purtroppo, due vittime ci furono davvero: i due cagnolini-cavie. Loro sì veri eroi inconsapevoli.

Il 2/2/1961, sempre i fratelli Judica Cordiglia asserirono di aver captato un battito cardiaco irregolare ed un respiro affannoso. Anche un altro radioamatore italiano, Mario Del Rosario, affermò la stessa cosa, due giorni dopo. In realtà i dati biometrici degli eventuali cosmonauti venivano trasmessi a terra non in forma di segnale audio ma codificati in un’onda quadra ed inviati a terra in via telemetrica. Ad un ascolto via radio sarebbero stati ricevuti come un rumore simile a quello di un fax o di un modem analogico. Strana coincidenza, l’Urss lanciò, in quei giorni, la sonda Venera 1 che esplose nell’orbita terrestre.

Il 23/5/1961, sempre gli stessi affermarono di aver ascoltato voci di più persone (tra cui una donna a cui diedero il nome di Ludmila), segnale poi improvvisamente cessato dopo che “Ludmila” disse di sentire molto caldo e vedere una fiamma. Sono forse bruciati nel rientro i due sposi (lui bigamo) Ludmila Seratova ed Anatolj Tokov? Purtroppo, fino al 1965 l’Unione Sovietica disponeva solo di Vostock monoposto e, proprio in quegli anni, iniziava ad operare al NORAD1 il sistema SPADATS2 per il tracciamento dei voli spaziali: gli “amici americani”, se ci fosse stato un lancio, l’avrebbero individuato… Inoltre, particolare non indifferente, le comunicazioni radio in fase di rientro, per via della ionizzazione dei gas che avviene a causa dell’attrito, non sono ancora oggi possibili. Quindi… La moglie del “dejà mort” Tokov, non sarebbe morta rientrando sulla terra.

Anche il 15/5/1962 vennero udite voci di uomini e donne impegnate in conversazione agitata. Vale il discorso di prima. L’Urss aveva solo le Vostock monoposto: un lancio con equipaggio plurimo era impossibile. Ma i sovietici, in quel periodo, lanciarono la Kosmos 5 (Sputnik-15), che era un satellite per lo studio dell’atmosfera, dotato di un sofisticato sistema di trasmissione di dati. Numerosi studi fatti in epoca più moderna hanno completamente smontato le tesi dei fratelli Judica Cordiglia: i tempi orbitali non corrispondono agli orari di intercettazione dei segnali e, in molti casi, segnali di dati analogici vennero scambiati per segnali in fonia. Sicuramente i nostri due connazionali erano in buona fede ma con le apparecchiature artigianali di cui disponevano e con l’assenza di informazioni che giungevano da oltrecortina, fu facile cadere nell’inganno di essere stati testimoni di tragedie tenute nascoste.

Una parentesi autorevole riguarda le presunte donne disperse. La stessa Valentina Tereskhova, prima donna nello spazio con Vostock-6 nel giugno del 1963, solo pochi anni fa ha rivelato dei particolari del suo volo. A causa dello spazio angusto nella capsula soffrì sin da subito di crampi e venne colta da nausea. Vomitò in orbita e perse addirittura i sensi. Non solo: a causa di un errore di accensione del secondo stadio, il suo apogeo si stava pericolosamente alzando. Alla 35^ orbita le comunicarono che rischiava di non poter tornare a terra prima della fine delle sue provviste. Presa da panico urlò e strepitò. Fortunatamente il problema, da terra, venne risolto (la Vostock non poteva essere controllata dal cosmonauta se non per piccole correzioni di assetto). Scese regolarmente ma l’espulsione avvenne troppo presto e la Tereskhova cadde vicino ad un lago molto violentemente e sbattendo la testa col casco. Sporca di sangue e vomito venne prelevata, ripulita, risistemata e solo allora la scena del suo “recupero” venne filmata. Ecco, in questo caso siamo di fronte “veramente” ad un falso. La Tereskhova rivelò tutto questo solo alla morte del controllore che aveva causato l’errore di traiettoria al quale aveva promesso il segreto.

Altri casi di cosmonauti dati per “spariti” poiché morti in missioni pseudo-segrete furono quelli (di cui ho parlato in due puntate della serie “le Storie di Kosmonautika”) di Valentin Bondarenko, vittima di un incidente a terra e rivelato solo durante la Glasnost, di Gregory Neljubov, allontanato con disonore per una brutta vicenda di “ordine pubblico” e cancellato dalle foto ufficiali insieme al suo compagno di “sbronza” Anikeev, e la vicenda di Varlamov, allontanato per un incidente in vacanza dove si è dislocato una vertebra ed anche lui “cancellato” da foto e video ufficiali. Ma… I tizi in tuta spaziale di cui ho parlato all’inizio? Beh, erano tecnici dell’industria che realizzava, appunto, le tute e che erano incaricati di collaudarle a terra. Inoltre, molti collaudatori militari ebbero incidenti a terra ma non erano nel corpo dei cosmonauti. Tra questi Pjotr Dolgov, pilota di palloni sonda e paracadutista, morto in un lancio col paracadute ad alta quota, così come Nikolaj Nikitin, e così come anche Ledovskij, Šiborin e Mitkov.

Apriamo un altro “capitolo” e dedichiamoci a quelle che furono intenzionalmente delle burle a cui, purtroppo, molti credettero:

Ivan Istocnikov: presunto cosmonauta della Sojuz-2 il cui corpo rientrò a terra con il casco fracassato da un micrometeorite. In realtà si trattava di un’istallazione dell’artista spagnolo Juan Fontcuberta il quale avrebbe dovuto presentare l’opera dandogli il suo nome (Giovanni Frontecoperta) tradotto in russo.

  • Boris 504: presunto scimpanzè fatto atterrare sulla Luna con la sonda Luna-15. In realtà una parodia della propaganda sovietica creata, nel 1999, dall’analista politico Dwayne Allen Day;
  • Porfiri Ebenov: presunto cosmonauta sovietico abbandonato sulla Luna che ha addirittura aiutato Armstrong ed Aldrin a ripartire dal nostro satellite. Ebenov in russo vuol dire “fottuto”;
  • Nano del KGB: presunto agente suicida inviato sulla Luna a bordo del Lunakhod-1. In realtà, nel veicolo semovente, il primo Rover della storia a camminare su di un altro corpo celeste, non vi era spazio né per un nano, né per acqua, cibo o provviste;
  • Andrei Mikojan: presunto cosmonauta deceduto in una missione, fallita, che sarebbe dovuto arrivare sulla Luna prima di Apollo-11. Era solo uno scherzo di alcuni stagisti dell’ESA;
  • Igor Fedorov: presunto “naufrago” abbandonato sulla Mir (forse russava…) dai suoi compagni di missione. Tentò il rientro (La Sojuz si era sganciata, avrà, forse, tentato tuffandosi…), ma morì (ovviamente) nel tentativo.

In ultimo la spassosa “richiesta di aiuto del cosmonauta Ivan Ivanovic”

Il cosmonauta Ivan Ivanovic
Il ‘cosmonauta’ Ivan Ivanovic

Ivan Ivanovic era il nome dato ad un manichino (che recava una vistosa scritta “Manichino” per evitare che venisse scambiato per un cosmonauta privo di sensi…), lanciato due volte nello spazio prima del volo di Gagarin, insieme a due cagnette. Fu chiamato così, in tono scherzoso, poiché Ivan Ivanovic è la combinazione di nome e cognome più comune in Russia, un po’ come il nostro Mario Rossi. La sua prima volta nello spazio fu con Cjernuska, il 9/3/1961, la seconda con Zvjiozdocka il 25/3 seguente. Era vestito con casco e tuta SK-1 (quella di Gagarin) ed aveva un impianto radio funzionante come quello che poi volò con Vostock-1. Per testare la radio venne messo un nastro che ripeteva all’infinito la ricetta del Bortsch, una famosa zuppa di barbabietole e panna acida. Ma la parola “Bortsch”, sentita coi ricevitori da radioamatori, venne scambiata per la parola “Pomosh” che vuol dire “Aiuto” … Non aggiungo altro. In compenso, dopo la caduta dell’URSS, oltre a venire alla luce gli episodi della Tereskhova, di Neljubov, di Varlamov e di Bondarenko, si venne a sapere la portata dell’immane catastrofe che fu l’Incidente di Nedelin, forse il più grave incidente mai accaduto durante un tentativo di lancio a terra.

Per concludere… Vladimir Iljus’hin, figlio di Sergej, fondatore dell’omonimo ufficio di progettazione aeronautico, famoso in tutto il mondo, presunto primo uomo ad andare nello spazio e fatto sparire misteriosamente. Beh, lo stesso, pilota collaudatore della VVS, dopo lo scioglimento dell’URSS fu più volte intervistato ma sempre negato di aver mai partecipato ad alcun volo spaziale o di aver mai partecipato al programma dei cosmonauti. In compenso fu, oltre che un valido pilota della VVS, un valido rugbista. Fu il promotore dell’ingresso della Nazionale Sovietica di Rugby nella Coppa FIRA e presidente della Federazione Rugbistica Sovietica fino al suo scioglimento, nel 1992. In seguito, fu presidente onorario della Federazione Rugbistica Russa. È scomparso nel marzo 2010. Insomma… Per anni abbiamo allietato le nostre serate con delle leggende pseudo metropolitane. Per fortuna, a parte i due poveri cagnolini ed il povero Bondarenko, non è morto nessuno.

Articolo del nostro amico Roberto Paradiso tratto dal libro “Noi abbiamo usato le matite! Storia del programma spaziale sovietico e delle persone che lo hanno realizzato“, disponibile qui

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