Ci sono così tante stelle nell’universo che il cielo notturno dovrebbe essere completamente illuminato. Invece è buio: ecco perché.
Perché il cielo notturno è così buio? Con tutte le stelle presenti nell’universo, non dovrebbe essere molto più luminoso? Questa domanda, apparentemente banale, nasconde in realtà uno dei “paradossi” più intriganti della cosmologia: il paradosso di Olbers.
Il paradosso di Olbers, formulato nel 1823, mette in discussione la nostra comprensione dell’universo e della sua struttura. Il ragionamento alla base è semplice quanto sconcertante: in un universo infinito ed eterno, guardando in qualsiasi direzione, la nostra linea di vista dovrebbe prima o poi incontrare la superficie di una stella. Di conseguenza, il cielo notturno dovrebbe apparire uniformemente luminoso come la superficie del Sole. Ma sappiamo bene che non è così.

L’origine del paradosso
Per comprendere meglio il paradosso, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, all’epoca di Isaac Newton. Il celebre fisico inglese immaginava un universo senza centro né bordi, infinito in tutte le direzioni. Secondo Newton, un universo finito sarebbe “caduto” su se stesso a causa della gravità, formando un’unica grande massa sferica. L’idea di un universo infinito sembrava risolvere questo problema, ma ne creava uno nuovo.
Heinrich Olbers, astronomo tedesco, si rese conto che in un universo infinito ed eterno, il numero di stelle dovrebbe essere infinito. Applicando la legge dell’inverso del quadrato per l’attenuazione della luce con la distanza, Olbers concluse che il cielo notturno avrebbe dovuto essere infinitamente luminoso. Ma non lo è. Da qui il paradosso.
Le prime soluzioni proposte
Nel corso dei secoli, vari scienziati e pensatori hanno cercato di risolvere questo enigma. Johannes Kepler, già nel 1610, suggerì che l’universo di stelle si estendesse solo fino a una distanza finita, oltre la quale ci sarebbe solo spazio vuoto. Una soluzione elegante, ma che solleva nuove domande: quanto lontano è questo confine? E cosa c’è oltre?
Olbers stesso propose che la luce delle stelle venisse gradualmente assorbita nello spazio. Tuttavia, questa spiegazione non regge: qualsiasi gas o polvere che assorbe la luce si riscalderebbe fino a riemetterla, lasciando invariata l’energia totale che raggiunge la Terra.
Fu il poeta Edgar Allan Poe, sorprendentemente, a proporre una delle prime soluzioni scientificamente plausibili. Poe suggerì che l’universo non fosse abbastanza vecchio per riempire il cielo notturno di luce. In altre parole, anche se l’universo fosse infinito nello spazio, non ci sarebbe stato abbastanza tempo dalla sua creazione perché la luce delle stelle più lontane potesse raggiungerci.
L’espansione dell’universo e la soluzione moderna
La cosmologia moderna ha fornito una spiegazione più completa al paradosso di Olbers, basata su due concetti fondamentali: l’età finita dell’universo e la sua espansione.
Oggi sappiamo che l’universo ha avuto inizio circa 13,8 miliardi di anni fa con il Big Bang. Questo significa che possiamo vedere solo la parte di universo che si trova entro 13,8 miliardi di anni luce da noi. La luce proveniente da stelle più lontane semplicemente non ha avuto il tempo di raggiungerci. Questo limite osservabile riduce drasticamente il numero di stelle visibili, rendendo il cielo notturno molto meno luminoso di quanto prevedesse Olbers.
Ma c’è di più. L’universo non è statico, ma in continua espansione accelerata. Questa espansione ha due effetti cruciali:
- Diluizione della luce: man mano che l’universo si espande, la densità di stelle (e quindi di luce) diminuisce, rendendo il cielo meno luminoso.
- Redshift cosmologico: l’espansione dell’universo “allunga” la lunghezza d’onda della luce che viaggia attraverso lo spazio. Questo fenomeno sposta la luce delle stelle più lontane verso frequenze più basse, rendendola invisibile all’occhio umano.
La luce delle prime stelle viaggia da oltre una decina di miliardi di anni in un universo in espansione. Ormai la frequenza di una parte di questa luce si è ridotta talmente tanto da far sì che essa sia già diventata radiazione infrarossa.
La radiazione infrarossa non è visibile a occhio nudo, quindi vediamo meno stelle di quelle che effettivamente ci raggiungono. Lo stesso principio si applica alla radiazione cosmica di fondo, residuo del Big Bang, che è stata spostata nello spettro delle onde radio.
Il paradosso di Olbers, lungi dall’essere una semplice curiosità astronomica, ha profonde implicazioni per la nostra comprensione dell’universo. Ci ricorda che l’universo ha una storia, un’età finita, e che sta cambiando nel tempo. Ci mostra anche quanto sia importante considerare non solo ciò che vediamo, ma anche ciò che non possiamo vedere direttamente.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo “Olbers Paradox” dell’ESA.