Prosegue la nostra rubrica dedicata all’astrofotografia del cielo stellato a cura di Stefano Maraggi. E’ il momento delle tecniche per migliorare i dettagli

Di Stefano Maraggi

Scattare una fotografia al cielo stellato regala spesso grandi emozioni, ma come ben sappiamo comporta un certo stress, sia per noi che per la nostra attrezzatura. La poca luce proveniente dal cosmo, obbliga infatti la fotocamera a lavorare ininterrottamente per diversi secondi, necessari per una corretta esposizione. Questa procedura consente di registrare una buona quantità di luce, che amplificata alzando gli ISO, permette di ottenere l’immagine luminosa che tanto desideriamo.

Analizzare i dettagli

Non è tuttavia un processo indolore, infatti osservando la fotografia a tutto schermo ne saremo probabilmente soddisfatti, ma ingrandendo noteremo immediatamente che il dettaglio è impastato ed è presente una fastidiosa grana, definita nel gergo tecnico come “rumore”. Se ci fermassimo a questo, l’unica possibilità per ridurre il rumore e migliorare il dettaglio risiederebbe nell’utilizzo di funzionalità apposite, che si trovano all’interno di praticamente tutti i software per l’editing fotografico. Vedremo invece che in parallelo potremo utilizzare alcune tecniche avanzate, che ci porteranno ad operare in modo da aggirare i limiti tecnici dell’attrezzatura. È ben noto che la fase di post produzione sia estremamente importante nell’ambito dell’astrofotografia, e le tecniche di cui parleremo prevedono di operare inizialmente sul campo per poi completare lo sviluppo del file al pc, attraverso appositi software.

Stefano Maraggi

Cause e soluzioni

Le cause principali di un’immagine “sgranata e rumorosa” sono da imputare al surriscaldamento del sensore della fotocamera ed all’errore introdotto dall’elettronica durante l’amplificazione del segnale luminoso, dovuto agli alti ISO. Unendo queste problematiche a stelle non perfettamente puntiformi, potremo dover fare i conti con un file di qualità insoddisfacente. Analizziamo ora, una alla volta, le tecniche principali per arginare questi problemi nell’astrofotografia a campo largo.

  • Utilizzare un astro inseguitore: sappiamo molto bene oramai come le stelle apparentemente ruotino nel cielo notturno, obbligandoci ad esporre per un numero di secondi abbastanza limitato (calcolato con la regola del 600). Questa tecnica prevede di allungare di parecchio il tempo di esposizione, permettendo così di abbassare gli ISO ed ottenere un file decisamente migliore a livello di dettaglio e lavorabilità. La procedura prevede di installare la fotocamera su questo dispositivo, che una volta settato correttamente è in grado appunto di “inseguire” il moto siderale degli astri per diverso tempo, e restituire stelle sempre puntiformi. I limiti principali risiedono nella necessità di un corretto settaggio e puntamento dell’inseguitore e nell’obbligo di dover scattare un’esposizione del paesaggio “terreno”, da fondere in post produzione. Questo perché chiaramente, se le stelle saranno puntiformi, tutto il resto tenderà a ruotare di conseguenza. Tuttavia non considererei questo un limite insormontabile, poiché arrivati a questo punto, la tecnica della multi esposizione in post produzione ci sarà probabilmente già chiara. Un’ulteriore considerazione è legata alla precisione dell’inseguimento, la quale cresce quasi sempre con l’ingombro ed il peso dello strumento. Pertanto, per focali grandangolari e fino a 200-300mm è consigliato un piccolo astro inseguitore, successivamente è decisamente più adatta una robusta montatura equatoriale.
Stefano Maraggi
  • Eseguire lo Stacking: questa tecnica prevede di scattare una sequenza di fotografie identiche, che saranno poi sovrapposte in post produzione, ottenendo una riduzione del rumore ed un miglior dettaglio. Il tutto, è possibile grazie al fatto che la grana del rumore è disposta in maniera casuale nell’area dell’immagine. Di conseguenza ogni foto sarà globalmente identica alle altre, ma nel dettaglio fine, abbastanza diversa. Il software medierà i vari scatti, tendendo così a mantenere i pixel che non differiscono (a cui siamo interessati) e attenuando gli altri, che rappresentano la grana. Ad opera finita il risultato è spesso notevole, e migliora decisamente all’aumentare degli scatti sommati (un buon numero è fino a 20-30, oltre il miglioramento è marginale). Il limite principale di questa tecnica, applicata all’astrofotografia, è il dover prima allineare gli scatti, specialmente se è presente un paesaggio in primo piano. Un software gratuito, semplice, e veramente efficace è Sequator, in grado autonomamente di allineare gli scatti e successivamente eseguire lo stacking in pochi click. Anche in questo caso la conseguenza dell’allineamento è un paesaggio mosso, per cui è nuovamente necessario sapersi destreggiare con la tecnica della multi esposizione. Un’alternativa più complessa e completa è DeepSkyStacker, adatto appunto anche a fotografia “deep sky”.
A sinistra il prima, a destra il dopo. Credit: Stefano Maraggi
  • Riprendere dark frames: come accennato in precedenza, durante le lunghe esposizioni, specialmente ad alti ISO, il sensore della fotocamera tende a surriscaldarsi e di conseguenza genera un degrado dell’immagine conosciuto come rumore termico. Si manifesta come una grana di colore principalmente rosso/blu/verde ed è facilmente rimuovibile attraverso la tecnica del dark frame. Il cosiddetto “dark” non è altro che una foto con gli stessi identici parametri (temperatura compresa, fondamentale) delle immagini scattate in precedenza, chiamate in contrapposizione “light”, ma con il tappo montato sull’obiettivo. In questo modo nell’immagine (pressoché nera) sarà registrato solo il rumore termico, ed una volta al pc, il software sarà facilmente in grado di individuarlo e rimuoverlo. Sequator prevede di poter inserire anche i dark durante il processo spiegato in precedenza, quindi andremo a scattarne alcuni (dai 2-3 fino ai 10) e comodamente svolgerà il lavoro per noi. Questa tecnica non crea particolari problemi, se non un’ulteriore perdita di tempo sul campo. Da segnalare che quasi tutte le fotocamere hanno al loro interno una funzione automatizzata simile al processo descritto, attivabile da menù. Ottima a livello di praticità ma chiaramente meno efficace di vari dark frames sommati.
Stefano Maraggi

In conclusione

Le tecniche citate sono spesso molto efficaci anche se utilizzate singolarmente, ma facendone un utilizzo combinato la differenza rispetto ad un singolo scatto classico è veramente evidente. L’ideale sarebbe quindi di farne costantemente uso, ma dovremo fare i conti con una perdita di tempo non trascurabile, sia sul campo che al pc. Il consiglio è di saper dosare il numero di scatti da riprendere in funzione della qualità del cielo che stiamo fotografando, e della fotocamera di cui disponiamo. In conclusione è bene precisare che seppur avanzate, queste non siano le uniche tecniche a disposizione. Infatti, soprattutto nell’ambito dell’astrofotografia del cielo profondo, vengono aggiunte altre complesse riprese e procedure necessarie a causa dell’aumentare della difficoltà degli scatti.

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