I futuri coloni di pianeti come Marte sperimenteranno l’isolamento come nessun altro nella storia degli esseri umani. Quale impatto avrebbe su di loro dal punto di vista psicologico?

Elton John cantava che Marte “non è esattamente il tipo di posto dove crescere i tuoi figli”. Un giorno, però, le agenzie spaziali di tutto il mondo sperano di dimostrargli il contrario, grazie alle colonie che gli esseri umani hanno intenzione di stabilire sul pianeta rosso.

Tuttavia, coloro che avranno la fortuna di intraprendere questo viaggio, non dovranno solo sopravvivere su un pianeta gelido e senza atmosfera respirabile, ma vivranno in completo isolamento a differenza di qualsiasi altro esploratore della Terra.

Quando raggiunge il punto più vicino alla Terra, Marte è comunque lontano 55 milioni di chilometri dal nostro pianeta. Questo creerà inevitabilmente anche qualche ritardo nelle comunicazioni tra i due mondi. L’equipaggio, quindi, dovrà sapersela cavare da solo in condizioni di stress, soprattutto quando si dovranno prendere decisioni improvvise.

L’attore Matt Damon nel film “The Martian – Sopravvissuto”. Credit: 20th Century Fox

Gli esperimenti scientifici per vedere come gli astronauti affrontano l’isolamento

Gli scienziati si sono avvalsi di numerosi esperimenti scientifici per capire come un astronauta affronterebbe l’isolamento dal punto di vista psicologico. Un esperimento risalente a qualche anno fa, ad esempio, aveva suscitato il timore che un equipaggio potesse ribellarsi agli ordini del comando missione, dopo un tempo più o meno prolungato nello spazio.

Nel 2017 e nel 2019 sono stati condotti altri due esperimenti sull’isolamento spaziale chiamati SIRIUS. Gli astronauti sono stati isolati per un periodo di 4 mesi e 17 giorni in una struttura a Mosca, in Russia. Questi test sono stati utili per studiare gli effetti dell’isolamento sulla psiche umana, sulla fisiologia e sulle dinamiche di squadra per aiutare i futuri coloni a prepararsi per un’esplorazione spaziale di lunga durata.

Uno degli obiettivi della NASA è la colonizzazione di Marte. Credit: NASA

I risultati dei test

In un articolo pubblicato su “Frontiers in Physiology” i ricercatori hanno elencato i risultati dei test. Non solo la comunicazione tra l’equipaggio e il mondo esterno è diminuita nel tempo, ma ha perfino causato attrito fra i partecipanti, dividendo il gruppo. D’altronde le persone tendono a condividere sempre meno le loro esigenze e i loro bisogni durante l’isolamento. Gli unici momenti in cui l’equipaggio inviava raffiche di messaggi all’esterno era durante importanti eventi che riguardavano la missione, come l’atterraggio, ad esempio. Dall’altra parte, però, c’è anche stato un cospicuo aumento della coesione del gruppo, nel corso dell’esperimento.

Durante SIRIUS-19, i ricercatori hanno registrato conversazioni, monitorato le espressioni facciali e l’intensità e la frequenza del parlato. Dopo 11 giorni è stato aggiunto un ritardo artificiale nelle comunicazioni, simile a quello che gli astronauti sperimenterebbero su Marte. Nel corso dei 4 mesi, il numero dei videomessaggi inviati al controllo missione è diminuito da 200 a 11-120, solo nella prima settimana. Anche la durata dei video stessi si è abbassata notevolmente. Non solo, perché gli scienziati hanno anche notato differenze nel modo di reagire di uomini e donne: queste ultime manifestavano più emozioni di gioia e tristezza, mentre negli uomini erano più frequenti manifestazioni di rabbia.

Insomma, i risultati mostrano che in condizioni autonome l’equipaggio subisce una sorta di “autonomizzazione” psicologica, ovvero diventa sempre meno dipendente dal controllo missione. Nonostante questo, l’istinto umano tende ad avvicinare le persone in condizioni critiche: ci si aiuta di più quando si è in pericolo. Il fatto che un equipaggio diventi più autonomo non è un male: in fondo colonizzare Marte significa anche sapersi adattare a condizioni ambientali completamente diverse da quelle a cui siamo abituati.

Riferimenti:

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