Le sonde gemelle Viking, lanciate nell’agosto e nel settembre 1975 arrivarono su Marte nella prima metà del 1976 con un unico obiettivo: confermare o meno la presenza di vita microbica nel suolo del pianeta rosso

Le sonde gemelle Viking, lanciate nell’agosto e nel settembre 1975 arrivarono su Marte nella prima metà del 1976 con un unico obiettivo: confermare o meno la presenza di vita microbica nel suolo del pianeta rosso. A bordo disponevano di un laboratorio biologico che ospitava quattro esperimenti di diversa natura per cercare di rilevare tracce di vita. La complessità delle missioni era il risultato di oltre venti anni di studi e programmazioni e rappresentava al tempo l’obiettivo più rischioso e ambizioso del genere umano, forse più dello sbarco sulla Luna dei primi esseri umani.

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Gli esperimenti biologici delle sonde Viking

Questi erano gli esperimenti a bordo, poi tra breve vedremo i risultati e le sorprese:

  1. Gascromatografo (GCMS): uno spettrografo di massa in grado di separare e analizzare i composti del suolo marziano attraverso il suo riscaldamento;
  2. Scambio di gas (GEX): un apparato che avrebbe dovuto analizzare dei campioni di suolo sottoposti per qualche giorno a un’atmosfera di elio, il gas inerte per eccellenza. Se erano presenti forme biologiche, dopo qualche giorno avrebbero prodotto dei gas di scarto e “inquinato” l’atmosfera;
  3. Rilascio della marcatura (Labeled Release, LR) era il più interessante, complesso e importante, il cuore di tutto l’apparato delle sonde Viking. Campioni di suolo venivano raccolti a pochi centimetri sotto la superficie e sotto alcune rocce e separati in due piccole vaschette. In una erano riscaldati a 160°C, nell’altra no. Entrambi venivano poi innaffiati con una sostanza nutritiva a base di acqua e molecole organiche, del tutto simile alla composizione presunta del brodo primordiale dalla quale l’esperimento di Miller ha dimostrato la nascita della vita. Al posto del normale carbonio però, fu utilizzato l’isotopo radioattivo carbonio 14 che avrebbe svolto l’importante funzione di marcatore. Se eventuali attività biologiche si nutrivano da questa soluzione, avrebbero poi rilasciato molecole organiche di scarto (come il metano) contenenti proprio il carbonio 14, la cui rilevazione avrebbe quindi costituito la prova madre che qualcosa a livello biologico era successo;
  4. Rilascio pirolitico (Pl), un paio di strane parole per identificare un esperimento che si basava su un concetto in qualche modo contrario al precedente e serviva per mettere in luce eventuali microrganismi fotosintetici. Il suolo marziano veniva immesso in un ambiente che simulava l’atmosfera del pianeta, ma al posto del carbonio semplice venne utilizzato il carbonio 14 (ad esempio per l’anidride carbonica, che costituisce oltre il 90% dell’atmosfera). In questo modo gli eventuali processi fotosintetici avrebbero trasferito il carbonio 14 dall’aria al terreno. Dopo alcuni giorni l’aria veniva tolta, il suolo riscaldato a 650°C e le emissioni analizzate.
Il braccio robotico del lander Viking 1 su Marte usato per scavare e raccogliere campioni di terreno marziano da analizzare
Il braccio robotico del lander Viking 1 su Marte usato per scavare e raccogliere campioni di terreno marziano da analizzare. Credit: NASA

I risultati degli esperimenti

Esperimenti interessanti e ingegnosi, ma a noi interessano i risultati! Dunque, quali furono gli esiti? Senza troppi giri di parole, il più importante, quello del rilascio della marcatura, diede esito positivo, mentre gli altri, utilizzati come controllo, esito negativo. Monitorando l’atmosfera dei campioni nell’esperimento LR ogni 16 minuti per diversi giorni, gli apparati delle sonde Viking su Marte rilevarono una continua produzione di carbonio 14, segno che qualche processo lo aveva liberato nell’atmosfera. Ed è qui che il mistero si infittisce ancora di più. I campioni riscaldati non mostrarono alcuna risposta e anche gli altri esperimenti diedero sempre esito negativo. Inoltre, cosa non da poco, lo spettrografo di massa rilevò un’inspiegabile carenza di carbonio e composti organici nel suolo marziano, minore addirittura di quella presente sul desolato suolo lunare. Era l’inizio di un mistero che sarebbe durato più di trent’anni.

La risposta positiva dell’esperimento LR era da attribuire a forme biologiche, oppure si doveva dar retta ai controlli negativi e all’anomalia nella composizione chimica del suolo marziano, incolpando un falso positivo dovuto a qualche semplice reazione chimica non biologica? A quel tempo le conoscenze dei processi biologici elementari terrestri non erano molto avanzate e quasi tutti liquidarono gli esperimenti come inconcludenti (nella migliore delle ipotesi) o negativi. Su Marte, quindi, sembrava non esserci vita, almeno non come la si conosceva a quel tempo. La positività dell’esperimento LR venne spiegata attraverso delle semplici reazioni chimiche tra i costituenti del suolo marziano.

Una diatriba che dura da oltre 40 anni

Nei successivi vent’anni l’ideatore dell’esperimento, l’ingegnere Gilbert Levin e una sua collaboratrice, Patricia Ann Straat, non si diedero per vinti e cercarono di approfondire lo studio dei dati e riprodurre sulla Terra i risultati delle Viking. Si scoprì che nell’esperimento LR il rilascio di carbonio 14 nell’atmosfera avveniva con un andamento periodico di 24,66 ore, molto vicino alla durata del giorno marziano. Questo fenomeno, che in biologia è chiamato periodo cicardiano, può essere un forte marcatore di un’attività biologica regolata sui periodi di giorno e notte del luogo in cui vive. Com’è possibile, però, che gli altri controlli diedero esito negativo? Nel 2003 la scoperta di perossido di idrogeno nell’atmosfera sembrava confermare che la strana risposta dell’esperimento LR potesse essere prodotta proprio dalla reazione di questo gas (meglio conosciuto come acqua ossigenata), i cui legami si sarebbero rotti sopra i 100°C, giustificando l’esperienza negativa con il campione riscaldato.

il complesso laboratorio biologico a bordo delle sonde Viking su Marte per rivelare tracce di vita marziana
Il complesso laboratorio biologico a bordo delle sonde Viking su Marte per rivelare tracce di vita marziana. credit: NASA

Nel 2008 la sonda Phoenix ha invece sparpagliato le carte e chiarito un paio di punti molto delicati. Nel suolo marziano ha rilevato una grande quantità di composti chiamati ioni perclorati, dei complessi che a temperature superiori ai 100°C reagiscono con le molecole organiche formando altri composti chiamati clorometano e diclorometano. Il caso volle che questi erano presenti anche nei prodotti utilizzati per pulire la strumentazione delle Viking a Terra prima della partenza, così che la loro rilevazione negli esperimenti venne attribuita a residui terrestri.

In realtà non era così: i composti rilevati erano il risultato dell’interazione e trasformazione delle molecole organiche con gli ioni perclorati. Questo spiegava quindi perché il suolo marziano fosse risultato povero di molecole organiche: lo spettrometro di massa lo riscaldava e distruggeva le prove che voleva misurare. E, come se non bastasse, la sua sensibilità effettiva era piuttosto modesta: avrebbe potuto rilevare dei batteri marziani solo se la loro concentrazione fosse stata superiore a 10 milioni ogni grammo di suolo, una soglia troppo alta anche per molti ambienti terrestri. In effetti la replicazione di questo esperimento nell’arido deserto di Atacama, in Cile, ha dato gli stessi risultati. Con la scoperta dei perclorati si spiega anche perché i campioni riscaldati dell’esperimento LR non mostrassero alcuna produzione di carbonio 14: eventuali microrganismi erano stati distrutti. L’esito negativo dell’esperimento sul rilascio pirolitico non era mai stato un problema, perché indicava solo la probabile assenza di grandi colonie di microrganismi fotosintetici.

I più recenti indizi

Con un lavoro iniziato nel 2005 e terminato nel 2012, Levin e un gruppo di ricerca internazionale, tra cui il biologo italiano Giorgio Bianciardi dell’università di Siena, hanno continuato gli esperimenti sul suolo terrestre e sviluppato dei modelli matematici in grado di spiegare le risposte delle Viking. I risultati, pubblicati in questo articolo, sono stati sbalorditivi: le esperienze in laboratorio con particolari campioni di suolo terrestre contenenti microrganismi hanno riprodotto i dati di tutti gli esperimenti. Le analisi attraverso i modelli matematici hanno inoltre confermato la presenza di un periodo circadiano nel rilascio di carbonio 14 dei campioni marziani e un’impronta biologica marcata. La conclusione, forse più semplice del previsto, è stata scontata: su Marte c’è (forse) vita, le sonde Viking l’avevano rilevata già nel 1976.

Abbiamo messo una pietra miliare nell’annosa discussione sulla vita marziana? Ancora no. Lo studio di Bianciardi non è infatti stato confermato, più che altro per mancanza di ulteriori dati. Questo è un punto fondamentale: il metodo scientifico obbliga alla validazione e alla replicazione dei risultati da parte di gruppi di ricerca indipendenti, prima di darli per certi. Sfortunatamente, tutte le sonde delle successive generazioni inviate sul suolo marziano non hanno più avuto gli apparati necessari per approfondire la questione. Dobbiamo solo avere un po’ di pazienza, perché questo decennio ha riportato in primo piano l’esplorazione di Marte, non solo con sonde automatiche. C’è da scommettere che le risposte arriveranno e saranno sorprendenti, in un modo o nell’altro.

Per saperne di più consigliamo il libro di Daniele Gasparri: Alla scoperta della vita nell’Universo.

Articolo a cura di Daniele Gasparri