Il disco protoplanetario che ha portato alla creazione del nostro Sistema Solare si è formato grazie a una nebulosa che pian piano si è dissipata.

La storia dell’origine del nostro sistema solare è abbastanza nota. Il Sole è nato come una protostella nella sua “nebulosa solare” oltre 4,5 miliardi di anni fa. Nel corso di diversi milioni di anni i pianeti sono emersi da questa nebulosa che alla fine si è dissipata. Ma quanto è durato esattamente il disco protoplanetario che ha dato vita ai pianeti? Un recente articolo presentato al Journal of Geophysical Research ha esaminato la sua evoluzione e mostrato come il magnetismo dei meteoriti ci aiuti a raccontare la storia.

Rappresentazione artistica dell’aspetto dei dischi che formano i pianeti attorno alle giovani stelle. Credits: MPIA graphics department

La nebulosa solare

Circa 5 miliardi di anni fa, il nostro vicinato galattico era una nebulosa fatta di idrogeno gassoso e polvere. Ciò ha fornito le basi per quello che è diventato il nostro sistema solare.

In un certo istante, parte di questa nuvola molecolare ha iniziato ad addensarsi su sé stessa forse a causa di una stella di passaggio che ha increspato la polvere e l’ha fatta comprimere. Oppure anche una supernova potrebbe essere stata responsabile. Qualunque cosa sia successa, ha dato inizio al processo di nascita della protostella che alla fine è diventata il nostro Sole.

Durante questo processo, il neonato Sole ha attraversato quella che viene chiamata la “fase T Tauri” dove soffiava nello spazio venti estremamente caldi pieni di protoni e atomi di elio neutri. Allo stesso tempo, parte del materiale stava ancora cadendo sulla stella.

Mentre tutto ciò accadeva, la nebulosa era in movimento e si appiattiva come una frittella. E il disco non era solo riempito di materiale ma anche intessuto di un campo magnetico. Questo disco attivo è il luogo in cui si sono formati i pianeti.

All’inizio erano grumi di polvere, che si sono attaccati l’uno all’altro per diventare rocce delle dimensioni di un sassolino. Quelle rocce si sono a loro volta fuse insieme per formare conglomerati sempre più grandi chiamati planetesimi che hanno infine formato i pianeti.

Lo studio delle rocce della nebulosa

Una volta nati i pianeti, cosa è successo al resto della nebulosa? Nel 2017 lo scienziato planetario Huapei Wang e i suoi collaboratori hanno scoperto, da studi sui meteoriti, che la nebulosa solare si era schiarita circa quattro milioni di anni dopo la formazione del sistema solare.

Ora un altro team di scienziati, guidato da Cauê S. Borlina della Johns Hopkins University e del MIT, si è chiesto se la nebulosa si sia estinta improvvisamente oppure sia avvenuto in una diversa scala temporale rispetto al disco protoplanetario.

Per rispondere alla domanda il team si è rivolto a una caratteristica chiamata “paleomagnetismo della nebulosa solare”. È un modo elegante per dire che la nebulosa possedeva un campo magnetico. I meteoroidi formatisi nella nebulosa in quel momento (chiamati condriti carboniose) contengono impronte di quel campo. Borlina e il team hanno ipotizzato che tali impronte risalissero a un determinato periodo per il sistema solare interno e un altro per le regioni esterne.

Le rocce che si sono formate nella nebulosa dovrebbero mostrare un’impronta magnetica che riflette i campi magnetici in quel momento. Quelle formate dopo che la nebulosa si è schiarita non dovrebbero mostrare alcuna impronta magnetica. Si limiterebbero a registreare il magnetismo (o la sua mancanza) di quel tempo e di quel luogo.

Rappresentazione artistica di un sistema stellare in formazione. Credits: NASA/JPL-Caltech

Il magnetismo nelle rocce primordiali

Il team di Borlina ha studiato i meteoriti trovati in Antartide tra la fine del 1977/78 e il 2008.

Il team si è concentrato sulla magnetite (un minerale di ossido di ferro) che si trova in ogni campione. La magnetite “registra” quella che viene chiamata “magnetizzazione residua” imposta dalla presenza del campo magnetico. Quindi, hanno confrontato altri studi paleomagnetici su alcune rocce chiamate “angriti” che non erano magnetizzate, presumibilmente formate dopo che la nebulosa solare (e i suoi campi magnetici intrinseci) si erano dissipati.

L’ulteriore analisi ha così fornito un lasso di tempo per la pulizia del sistema solare interno ed esterno.

Per la regione interna – da 1 a 3 UA, all’incirca dall’orbita terrestre al limite esterno della cintura di asteroidi – il team ha scoperto che la dissipazione della nebulosa è avvenuta circa 3,7 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare.

Il sistema solare esterno ha impiegato invece altri 1,5 milioni di anni prima di ripulirsi. Ciò corrisponde alla stima precedente di circa 4 milioni di anni per la dissipazione completa.

Il prossimo passo sarà ottenere età più precise dai meteoriti in generale. Questo dovrebbe aiutare gli scienziati a porre alcuni vincoli più definiti sulla linea temporale di dissipazione effettiva. In particolare, il team vuole condurre un lavoro più sperimentale su campioni di magnetite in diverse famiglie di condriti. Ciò consentirà loro di capire esattamente quando le rocce hanno acquisito le impronte dei campi magnetici.

L’idea di utilizzare le rocce per “datare” la nebulosa solare e la sua dissipazione ha implicazioni importanti nello studio dei dischi protoplanetari attorno ad altre stelle. Suggerisce infatti che la maggior parte di questi dischi subisca un’evoluzione su due scale temporali. Abbinato a un precedente lavoro che ha mostrato come i dischi protoplanetari abbiano sottostrutture, adesso abbiamo molte più informazioni sulle condizioni esistenti dopo la nascita del nostro Sole e dei pianeti.

Riferimenti: Universe Today, Arxiv

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