Il 12 aprile ricorre l’anniversario dello storico volo di Jurij Gagarin sulla Vostok-1, primo uomo a raggiungere lo spazio e ad orbitare intorno alla terra. Un ritratto dell’uomo Gagarin, che ci ha preso per mano e ci ha condotti nel futuro

Premetto: Ognuno di noi ha i suoi Eroi, io ho i miei. Gilles Villeneuve e Jurji Gagarin.

Se Villeneuve è stato l’Eroe della mia giovinezza, Gagarin è l’Eroe della mia età adulta. Potrebbero sembrare diversissimi, ma in entrambi ho visto coraggio smisurato, lealtà e rispetto. Per questo motivo, scrivere di Gagarin è per me un momento di grande emozione. Ogni volta C’era una volta il figlio di una contadina e di un falegname che volava incontro al suo destino…

Jurij Alexeievich Gagarin nacque a Klushino, nella regione di Smolensk, il 9 marzo del 1934. Aveva due fratelli ed una sorella ed era figlio di Alexei, falegname e di Anna, una contadina. La sua regione, durante la guerra, si ritrovò sotto l’occupazione tedesca ed il piccolo Jurij dovette interrompere presto la scuola. Il padre voleva che diventasse un falegname come lui, per potergli passare l’attività di famiglia, ma a Jurij Alexeievich non interessava la carpenteria. Si iscrisse all’istituto tecnico industriale di Saratov e si diplomò metalmeccanico.

Ogni fiume ha il suo mare…

Amo dire questa frase per significare che non si sfugge al proprio destino: se c’è una passione forte in noi, prima o poi il modo di realizzarla, nonostante tutti gli ostacoli che la vita potrebbe metterci davanti, lo troveremo. Per il giovane Gagarin, il sacro fuoco fu quello per il volo.

Disse Leonardo da Vinci: “Una volta che abbiate conosciuto il volo camminerete sulla terra guardando il cielo, perché là siete stati e là desidererete tornare.

Fu così per Jurij, che si appassionò al volo; nonostante fosse piccolo di statura e non riuscisse a vedere bene la pista in fase di atterraggio, non si perse d’animo. Con uno stratagemma fece in modo di rialzare la sua seduta sul velivolo e prese il brevetto privato nel 1955. Entrò poi all’accademia di aviazione di Orenburg; nel 1957, si diplomò col grado di sottotenente. Durante l’accademia militare, conobbe la donna che lo accompagnò per tutta la vita: Valentina Goryaceva. Come pilota militare aveva delle grandi capacità di collaudatore e venne perciò assegnato ai reparti sperimentali della VVS, l’aviazione militare strategica. Ed in questi reparti che venne scoperto da colui che, girando l’Unione Sovietica in lungo ed in largo, stava reclutando i più talentuosi piloti dell’aviazione militare e della marina: il Generale Nikolai Petrovic Kamanin.

Nel primo gruppo di venti candidati cosmonauti, si mise ben presto in evidenza insieme all’amico Gherman Titov ed a Grigorij Neljubov. Erano loro i più accreditati a volare, per primi, nello spazio a bordo della cosmonave Vostok. Ed il destino giocò un’altra delle sue carte per Gagarin. Arrivò il momento di scegliere il cosmonauta da consegnare alla Storia; il più serio candidato, sia a livello di preparazione fisica che teorica, era Gherman Titov. 24 anni, figlio di un’insegnante, era un ragazzo coltissimo che amava le poesie di Puskin a tal punto da recitarle a memoria. Gagarin, poco più grande, incarnava, invece, l’ideale del proletario che, grazie al modello di vita Socialista, riesce a riscattarsi e ad arrivare alle stelle. Contro Titov giocava, ahi lui, la provenienza familiare, per così dire, più borghese. Inoltre, Gagarin era della Russia Europea, mentre Titov era nato ad Altai, nella Russia Siberiana. Dettaglio di poco conto per noi, ma di grande impatto per la propaganda sovietica.

Quel 12 aprile 1962, prima di salire a bordo della Vostok-1, Gagarin e Titov vennero preparati per il volo come se dovessero partire insieme. Questo, forse, serviva per non far trapelare, in occidente, il nome del primo cosmonauta fintanto che il volo non avesse avuto successo. Insieme a Neljubov, che ne fu la seconda riserva, si avviarono dagli alloggi alla rampa di lancio. Singolare l’aneddoto legato all’iconica scritta “SSSR” (Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, in cirillico CCCP). L’elmetto era in origine bianco. Poco prima del lancio un’inserviente sollevò un dubbio: “Ma se il nostro cosmonauta cade in territorio straniero, come si fa ad identificarlo come uno dei nostri?” Un altro inserviente, prontamente, prese un pennello e la vernice rossa e tracciò la sigla dell’Unione sovietica sopra la visiera del casco.

Ad un certo punto, lungo il tragitto, Gagarin ebbe un’esigenza molto più terrena che celeste: doveva far pipì. Scese dal pulmino e, con la tuta SK-1 addosso, espletò la sua necessità sulla ruota

posteriore destra del bus. Da allora questa bizzarra usanza è diventata un rito obbligato da parte di tutti coloro, donne incluse, che si apprestano a partire dal Cosmodromo di Baikonur.

Arrivati sulla rampa, entrambi salutarono il personale a terra con un discorso; salirono insieme nell’ascensore ma solo Gagarin, alla fine entrò nella Vostok. Titov restò nell’elevatore.

Quell’Aprile si incendiò, al cielo mi donai, Gagarin, figlio dell’Umanità…

I russi, sapete, non fanno il conto alla rovescia, ma una semplice checklist. Essendo la prima volta che si effettuava un lancio con una persona a bordo, Korolev volle comunicare ogni singolo passaggio della lista al cosmonauta che confermava i comandi impartiti da terra. Esiste un video, sul mio canale YouTube “Kosmonautika” che riporta l’audio originale coi sottotitoli in italiano. Al momento del lancio, invece di confermare il segnale di distacco, l’Uomo Gagarin, figlio dell’Umanità, come canta Claudio Baglioni, liberò i cavalli della sua emozione e gridò “Поехали!” (leggi “Pajekale”), “Andiamo!”. Ci prese per mano e ci accompagnò nel futuro.

E quell’aprile s’incendiò davvero.

Erano le 9:07, ora di Mosca.

La Vostok-1 decollò dalla rampa di lancio del cosmodromo di Baikonur, che oggi porta il suo nome. Dopo pochi minuti, subendo un’accelerazione di circa 6G, raggiunse l’orbita. Perse anche i sensi, per pochi secondi, a causa del G positivi (l’aumento della forza di gravità in relazione al proprio peso). La sua orbita aveva un apogeo di 302 km ed un perigeo di 175.

E l’azzurro si squarciò, le stelle trovai lentiggini di Dio…

Tanto fu lo stupore di Gagarin non appena vide la terra che esclamò: “Vedo la Terra! È così bella! Da quassù è meravigliosa, senza frontiere né confini!”. L’uomo Jurij, che sognava di volare da bambino, riscosse le carte del suo destino.

Valentina Gagarina scrisse una biografia del marito: “108 minuti, una vita”, mai tradotto in italiano, dove nel tempo di volo che fu sì di 108 minuti ma complessivo di lancio e rientro, si narra la parabola terrena del marito e della loro vita insieme. Un’esistenza il cui fiume, nonostante le mille anse del destino, era destinato a sfociare nel suo mare. E quel mare era azzurro come il cielo e nero come lo spazio.

Dopo 88 minuti di orbita, quindi, telecomandato da terra in quanto le Vostok non avevano controlli di rotta ma solo piccoli controlli d’assetto, fu innestata la manovra di deorbita.

L’ingresso nell’atmosfera avvenne non senza problemi: il modulo di servizio non si distaccò al momento stabilito e si dovette attendere che l’attrito generato dall’ingresso della capsula negli strati alti dell’atmosfera, ne bruciasse le giunzioni. La forma sferica della Vostok, per fortuna, le consentiva di assumere naturalmente l’assetto ottimale per il rientro. Il paracadute principale si attivò regolarmente e, la quota stabilita, circa 7000 Metri il sediolino eiettabile del cosmonauta venne espulso mentre la capsula scendeva al suolo.

Gagarin, con il suo paracadute, si posò a terra alle 10:55 ora di Mosca, nella regione di Saratov. Scese in un campo dove due contadine, madre e figlia stavano lavorando. Alle due donne che lo guardavano attonite disse: “Non abbiate paura! Sono uno di voi, sono un sovietico!”; poi chiese un telefono per chiamare Mosca. Ancora con la tuta arancione e l’elmetto bianco, chiamò il numero del centro di controllo comunicando il luogo dove era atterrato. Dopo l’atterraggio gli fu conferito il grado di maggiore, saltando quello di capitano. Lo stesso suo padre fu stupito nel sentire, alla radio, che il maggiore Gagarin era andato nello spazio: a chi li chiedeva se fosse suo figlio, rispondeva che il suo era appena un tenente.

Al ritorno fu accolto da Kruscev, con i massimi onori. Celebre la sua immagine in cui sceso, dall’aereo che lo aveva riportato a Mosca, marciava verso il palco delle autorità con una scarpa slacciata.

Tra Gagarin e Korolev, c’era quasi un legame come tra padre e figlio. Veniva chiamato, dal suo capo “Giovane aquila”. Tanta la gratitudine di Korolev verso Gagarin che, quando ancora l’identità del progettista capo era sconosciuta, questi volle comunque comparire nei video ufficiali che celebrarono l’impresa. Lui, difatti, è l’anonimo signore che sfila sotto il mausoleo di Lenin che si rivolge verso Gagarin sorridendo e stringendo le mani.

A Gagarin fu attribuita la frase: “Non vedo nessun Dio quassù”.

In realtà la frase fu di Titov. Gagarin, padre di due figlie, era credente e prima del volo volle battezzarle.

Ho scritto che il destino servì la sua mano facendo incontrare, ai tempi dell’accademia, la sua Valentina. Era legatissimo a sua moglie, tanto che per amor suo resistette alla strenua corte dell’attrice italiana Gina Lollobrigida, perdutamente innamorata del cosmonauta sovietico. La Ginona nazionale dovette ripiegare sull’amico Titov; questi, a differenza di Gagarin, non si fece pregare…

Jurij e la sua famiglia vivevano alla “Cittadella stellata”, il centro di addestramento dei cosmonauti situato alle porte di Mosca, ancor’ oggi meta di tutti gli equipaggi, russi ed internazionali, che volano verso la stazione spaziale internazionale.

C’è una tenerissima storia legata a Jurij e Valentina. Era abitudine di Gagarin rientrare, dopo una giornata di lavoro, con un mazzolino di margherite raccolte nei prati della cittadella dei cosmonauti per portarle alla sua Valentina. Dopo la morte del cosmonauta, venne eretta una statua, posizionata davanti alla loro casa, in cui Jurij è raffigurato con, dietro la schiena, un mazzolino di margherite per sua moglie. Valentina Gagarina Goryaceva ha vissuto lì fino alla sua morte, avvenuta nel 2020. Affacciandosi dalla sua finestra, poteva così vedere Jurij che tornava da lei con le sue margherite.

Jurij Gagarin
Jurij Gagarin poco dopo il suo storico volo. I muscoli tesi dall’adrenalina, inizia ad essere consapevole dell’impresa che ha appena compiuto. Non c’è ancora il sorriso che lo avrebbe contraddistinto nel mondo. Non è ancora l’Eroe. Ora è solo Jurij

Non si tolgono le ali ad una giovane aquila…

Dopo il suo volo, Gagarin non tornò più nello spazio. Un uomo che era diventato grande come una nazione, non poteva essere sacrificato. Fu ambasciatore di pace in tutto il mondo, ma lui desiderava volare. Venne assegnato, come equipaggio di riserva, alla Sojuz-1, comandata dal suo amico Komarov.

Si oppose con tutte le forze a quel volo che giudicava, ha ragione, prematuro. Infatti, la Sojuz era ancora non del tutto pronta a portare un uomo nello spazio.

Il volo di Komarov fu una tragedia: Gagarin, sconvolto per la morte del suo amico, andò da Breznev che riteneva la persona che aveva forzato la mano per il lancio dovendo confermare, dopo i successi americani con le Gemini, la supremazia sovietica.

Una volta al cospetto del segretario generale del partito comunista, Gagarin gli tirò un bicchiere di cognac in viso dicendogli: “Questo è per Komarov”.

Jurij Alexeievich Gagarin morì il 27 marzo 1968, in un incidente ancora oggi dalle circostanze non del tutto chiare, probabilmente per essere andato in vite dopo aver incontrato una turbolenza di scia causata da un aereo non autorizzato. Il suo mig 15 UTI, di cui era copilota insieme al colonnello Seriegin, si schiantò vicino a Kirzac.

Non fu colpa dei piloti. Ma dei controllori di volo che autorizzarono il sorvolo della zona da parte di altri velivoli. Il reggimento di Chkalovskji, a cui Gagarin e Seriegin appartenevano, era un reparto sperimentale, semi ufficiale. Probabilmente disorganizzato. Per non rivelare l’errore umano fu addotta la scusa del pallone sonda ma, sicuramente, si trattò, come dimostrato dalle recenti simulazioni del cosmonauta Anton Skaplerov, di una turbolenza di scia. Che uccise due eroi. Uno, grande come una nazione, che voleva tornare a volare nello spazio dove era già stato, primo tra tutti. L’altro, Eroe, per non aver voluto ordinare l’abbandono del velivolo.

Sì, perché Seriegin e Gagarin, negli ultimi secondi della loro vita, decisero di non espellersi. Ne avrebbero avuto il tempo e probabilmente si sarebbero salvati. Ma, così facendo, il loro MiG-15 n. 625 si sarebbe schiantato sull’abitato di Novoselovo, causando seri danni e, forse, molte vittime. Negli ultimi istanti tentarono di rimettere in assetto il loro apparecchio allontanandolo quanto bastava dall’abitato ed andando incontro al loro destino.

Una leggenda popolare vuole che Jurij Alexeievich Gagarin, stanco di onori e gloria, inscenò la sua morte e si ritirò, sotto falso nome in un villaggio abbandonato nella regione di Orenburg. Vivendo di caccia e pesca, sarebbe oggi un vecchio uomo felice. Nessuno vuole che gli Eroi muoiano e questa leggenda popolare dà il giusto epilogo ad una figura che è entrata nel mito di ognuno di noi, senza distinzione di età o bandiera. Ma l’aver rinunciato a salvarsi per proteggere gli abitanti di Novoselovo lo rende sicuramente, insieme al Colonnello Seriegin, il più grande di tutti.

Sotto un timbro nero ormai Io vi sorrido, ma il mio sorriso se n’è andato via…

Quando Gagarin morì, tra i rottami del mig 15 UTI, venne ritrovato il suo portafoglio. Insieme alla foto della figlia e della moglie, c’era una foto di Korolev…

Ai suoi funerali di Stato partecipò tutta la nazione e venne sepolto nel mausoleo delle mura del Cremlino.

Ho visitato la tomba di Gagarin a fine giugno 2017. È stato il compimento di un pellegrinaggio che mi ha visto, il giorno precedente, al Museo della Cosmonautica. Davanti alla sua tomba, per me si è chiuso un cerchio; io, ex ufficiale dell’Esercito, mi sono messo sull’attenti ed ho salutato militarmente un superiore. Intorno a me alcuni turisti, guardandomi, hanno sorriso un po’ stupiti. Posizionato all’uscita del mausoleo, il piantone di guardia, vedendomi e compreso il gesto, mi fece un cenno di approvazione. Ero visibilmente commosso ed i miei figli si avvicinarono e con molta delicatezza mi chiesero se volessi fare una foto davanti alla tomba del mio Eroe.

Gagarin fu persona dalla vita integerrima ed è stato, come Armstrong, un simbolo senza bandiera di tutta l’Umanità. La sua, infatti, non fu solo una vittoria sovietica, ma di tutti noi.

“Per primo volai, e ancora adesso, io, volo…

Il fiume di Gagarin trovò il suo mare. La giovane aquila volò regalando alla terra, che primo tra tutti aveva visto nella magnificenza del cosmo bellissima e fragile, il suo ultimo abbraccio. Le parole del messaggio che volle registrare prima del suo storico volo, rappresentano al meglio l’universalità dell’Eroe Gagarin:

Vi dico, cari amici, arrivederci, come dicono sempre le persone quando si intraprende un lungo viaggio. Come vorrei abbracciarvi tutti, persone conosciute e sconosciute, lontane e vicine. Arrivederci!

E noi, figli dell’Umanità, ogni 12 aprile, prendiamo la mano che lui ci ha teso e ci facciamo guidare verso il futuro.

Andiamo!

Articolo del nostro amico Roberto Paradiso, https://www.facebook.com/lestoriediKosmonautika