Osservazioni a raggi X hanno evidenziato che i buchi neri supermassicci hanno un passato diverso rispetto ai loro coetanei più “leggeri” che influenza la loro rotazione.

Gli astronomi hanno misurato la rotazione di uno dei buchi neri più massicci dell’universo moderno. I risultati ottenuti confermano l’ipotesi che tali buchi neri siano cresciuti in modo diverso rispetto ai loro fratelli più piccoli. Lo spin è infatti uno dei due parametri che descrivono un buco nero (l’altro è la massa) e contiene informazioni chiave sul suo passato. Ad esempio, i rilevamenti delle onde gravitazionali mostrano che i buchi neri creati dalla fusione di due buchi più piccoli ruotano a circa il 70% della loro velocità massima, mentre quelli realizzati direttamente dalle stelle ruotano molto più lentamente.

Ma i buchi neri supermassicci sono più complessi rispetto a quelli delle dimensioni di una stella che vengono studiati dagli interferometri terrestri. Questi oggetti smisurati devono aver ingerito molta materia, e per un lungo periodo di tempo, per riuscire a raggiungere le loro dimensioni attuali.

Immagine composita di H1821+643, un quasar alimentato da un buco nero supermassiccio situato a circa 3,4 miliardi di anni luce dalla Terra. Credit: Raggi X: NASA/CXC/Univ. di Cambridge/J. Sisk-Reynés et al.; Radio: NSF/NRAO/VLA; Ottico: PanSTARRS

Una complessa storia di formazione

Studi precedenti hanno scoperto che oggetti di milioni (o di decine di milioni) di masse solari di solito ruotano il più velocemente possibile, almeno il 90% della loro velocità massima fisicamente consentita. Questo è possibile se il buco nero continua ad assorbire materia da un disco di accrescimento sufficientemente grande ad alimentarlo per diverso tempo. Anche i buchi neri più pesanti, tuttavia, tendono a ruotare più lentamente e a una gamma più ampia di velocità, suggerendo che le storie della loro formazione possono essere differenti.

Júlia Sisk-Reynés (Università di Cambridge) e altri scienziati hanno ora aggiunto ulteriori prove sulle differenti storie di formazione dei buchi neri supermassicci.

Utilizzando alcune osservazioni a raggi X raccolte 21 anni fa dall’Osservatorio a Raggi X Chandra, gli astronomi hanno misurato la luce riflessa dal bordo interno del grande cappello di gas che costeggia il buco nero che alimenta il quasar H1821+643. Questo quasar si trova in un ammasso di galassie a più di 3 miliardi di anni luce di distanza e, con una massa compresa tra 3 e 30 miliardi di Soli (le stime sono variabili), il suo buco nero centrale è uno dei buchi neri più massicci mai osservati.

I raggi X riflessi hanno consentito ai ricercatori di misurare l’ampiezza dello spazio vuoto tra il bordo interno del disco di gas e il buco nero. Un buco nero rotante trascina il suo disco verso di sé e, quanto il disco si avvicini all’orizzonte degli eventi, rivela quanto velocemente gira il buco nero.

Le misurazioni a raggi X suggeriscono che il buco nero di H1821+643 ruota dal 25% all’84% del suo massimo, con un valore molto probabile del 62%. La cosa importante da notare non è il valore specifico del 62%, ma che questa rotazione è molto più lenta dei rapidissimi spin dei buchi neri 1.000 volte meno massicci.

Una spiegazione della discrepanza è che i buchi neri più grandi abbiano una storia più complessa rispetto ai loro fratelli più piccoli.
Il gas proveniente da un disco di lunga durata arrivava sempre al buco nero dalla stessa direzione, facendo ruotare il buco nero come un pallone da spiaggia colpito dall’acqua di un tubo. Il buco nero di H1821+643 possiede un disco di gas ma, vista la sua rotazione, il buco nero non può aver assorbito solo da questo disco per milioni di anni.

Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea di circa 4 milioni di masse solari. Credit: ESO

Il sospetto è che oggetti così pesanti abbiano invece dischi “episodici”, formati da una grande nuvola di gas che è arrivata da una traiettoria casuale, spiega il coautore James Matthews (Università di Cambridge, Regno Unito).
Questo disco persisterà forse per alcune centinaia di migliaia di anni, nutrendo il buco nero e influenzandone la rotazione. Ma il prossimo disco di accrescimento potrebbe avere un orientamento completamente diverso, modificando la rotazione del buco nero.

Se poi a questa formazione così complessa si aggiungono una o più fusioni con altri grandi buchi neri, l’oggetto finale potrebbe avere caratteristiche di rotazione molto particolari.

E c’è anche un effetto ambientale più grande in tutto questo: i buchi neri più massicci tendono a risiedere nelle galassie più grandi. Le simulazioni dell’evoluzione delle galassie e dei buchi neri in questo tipo di galassie indicano un flusso di materiale meno ordinato, forse spiegando perché l’accrescimento dei buchi neri supermassicci sia così casuale.

Riferimenti: Sky&Telescope, Royal Astronomical Society

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