L’Universo come una ‘straordinaria macchina del tempo’ anche grazie al James Webb Space Telescope. Scopriamo come ci fa vedere le galassie primordiali

È stata una settimana ricca di emozioni con il rilascio di immagini mozzafiato del nostro Universo da parte del James Webb Space Telescope (JWST). Esse ci hanno fatto vedere galassie lontane come erano più di 13 miliardi di anni fa. L’Universo diventa in questo modo una ‘straordinaria macchina del tempo’. Guardare indietro nel tempo può sembrare strano ma è ciò che facciamo tutti noi quotidianamente (astronomi compresi) ad esempio osservando la Luna che la vediamo com’era circa 1,3 secondi fa! Questo perché la velocità della luce è un valore finito e stimato in circa 300.000 km/s ergo, tornando alla Luna, considerando la distanza media Terra – Luna ovvero 380.000 km viene fuori il valore temporale sopracitato (applicando la formula fisica: tempo = spazio/velocità). Il nostro Satellite è l’esempio più banale ed il discorso si estende ad ogni oggetto celeste e le bellissime stelle appena nate viste nella Nebulosa della Carena si trovano a 7.500 anni luce di distanza. In altre parole, questa nebulosa come nella foto risale a un’epoca di circa 2000 anni prima dell’invenzione della scrittura nell’antica Mesopotamia (ovviamente è un discorso che si estende a tutte le immagini riprese dai vari telescopi e non solo dal James Webb). Il JWST è stato progettato per lavorare nell’infrarosso e questo è un motivo fondamentale per cui può vedere più indietro nel tempo rispetto al Telescopio Spaziale Hubble (lavora principalmente nel visibile). L’ampia gamma di lunghezze d’onda dell’infrarosso rilevabili da JWST gli consentono di vedere galassie che Hubble non avrebbe mai potuto vedere. Combina questa capacità con i suo enorme specchio e la sia superba risoluzione dei pixel. Utilizzando il JWST, saremo in grado di catturare galassie estremamente distanti appena 100 milioni di anni dopo il Big Bang, avvenuto circa 13,8 miliardi di anni fa.

La nebulosa della Carena ripresa dal James Webb
La nebulosa della Carena ripresa dal James Webb. Credit: NASA, ESA, CSA, and STScI

L’osservazione delle galassie ed il redshift

Le galassie emettono una gamma di lunghezze d’onda sullo spettro elettromagnetico e questo ci fornisce tante preziose informazioni. Ad esempio quando le galassie sono estremamente lontane, la luce delle galassie va verso lunghezze d’onda più lontane e più rosse a causa dell’espansione dell’universo. Questo è un fenomeno chiamato “redshift cosmologico” (si contrappone al blueshift effetto completamente opposto). Gli astronomi misurano le grandi distanze, ad esempio di una galassia, determinando il “redshift“. Questo fenomeno è il risultato dell’espansione dell’universo. Maggiore e’ la distanza di un corpo celeste da noi, maggiore sara’ il tempo speso dalla luce da lui emessa per raggiungerci, e di conseguenza maggiore sara’ tempo speso a viaggiare nell’universo in espansione. L’effetto principale dell’espansione dell’Universo su un’onda elettromagnetica come la luce sara’ quello di “stirarla”, aumentandone la cosidetta “lunghezza d’onda” (la distanza tra due picchi di ampiezza di un’onda).

Esempio per visualizzare come l’Universo in espansione generi il “redshift” della luce
Esempio per visualizzare come l’Universo in espansione generi il “redshift” della luce. Credit: Dmitri Pogosyan

Ciò significa che più un oggetto si trova a distanza maggiore da noi, più la luce che ci arriverà da esso avrà una lunghezza d’onda maggiore di quella con la quale e’ stata emessa. Questo spostamento e’ stato battezzato “redshift“, ovvero “spostamento verso il rosso” in italiano, in virtù della nostra maggiore familiarità con la banda visibile dello spettro elettromagnetico (dove il rosso occupa le lunghezze d’onda maggiori), e risulta molto marcato per gli oggetti a distanze dell’ordine dei miliardi di anni luce. Al contrario, esso e` molto meno evidente per distanze comparabili al nostro gruppo locale (di cui fa parte anche la galassia di Andromeda), ovvero “appena” qualche milione di anni luce. In quest’ultimo caso, il basso valore del redshift cosmologico e’ facilmente coperto dall’effetto doppler dovuto al moto proprio delle galassie rispetto alla nostra.

Una galassia di cui vediamo la luce di 13,7 miliardi di anni fa si trova ad una distanza di 46 miliardi di anni luce, ben maggiore dei 13,7 miliardi di anni luce che qualcuno potrebbe erroneamente essere portato pensare. Il motivo e’ semplice: dal momento dell’emissione della luce della galassia che vediamo (ovvero 13,7 miliardi di anni fa) ad oggi, la galassia si e’ ulteriormente allontanata per effetto dell’espansione del cosmo, fino all’attuale distanza-record di 46 miliardi di anni luce. Ciò ha portato a stimare il diametro dell’Universo in circa 93 miliardi di anni luce! Viviamo in un tempo straordinario della tecnologia. Solo 100 anni fa, non sapevamo che esistessero galassie al di fuori della nostra. Ora stimiamo che siano trilioni lì proprio sopra le nostre teste.

Fonte, https://www.astro.ucla.edu/~wright/cosmology_faq.html#DN