C’entra il solito esperimento del gatto di Schrödinger e presuppone l’esistenza di due realtà parallele. Ecco di che si tratta.

La teoria dei molti mondi (chiamata anche interpretazione a molti mondi) è un’interpretazione della meccanica quantistica, quella “branca” della fisica che descrive il comportamento della materia e delle reciproche interazioni. Prende spunto dal lavoro del fisico Hugh Everett III nel 1957, ma fu Bryce Seligman DeWitt a introdurre il termine “a molti mondi” per spiegare il fatto che una misurazione quantistica abbia come conseguenza la divisione dell’universo in realtà parallele, ognuna delle quali caratterizzata da risultati soggettivi. Ma andiamo con ordine.

La teoria dei molti mondi. Credit: Wikipedia.

Ogni evento si divide in due

Nell’articolo in cui vi abbiamo parlato del paradosso del gatto di Schrödinger l’osservazione di un evento (il gatto chiuso in una scatola con del gas) fa collassare la funzione d’onda, dando vita ad una delle possibilità (che il gatto sia vivo o morto), mentre le altre svaniscono. In mancanza di un osservatore, però, non vi sarebbe più una realtà fisica, ma un numero sconfinato di possibilità.

A risolvere il problema provarono Everett-Wheerler-Graham con la teoria dei molti mondi. Non considerarono le diverse possibilità come probabilità della funzione d’onda, ma reali. Facciamo un esempio.

Mettiamo che io faccia un colloquio di lavoro. Vi è una funzione d’onda che contiene la possibilità che io venga assunto e un’altra in cui vengo respinto. Secondo la fisica quantistica, a un certo punto emerge solo un tipo di realtà, mentre l’altra svanisce. Per la teoria dei molti mondi, invece, accadono entrambe: la possibilità A) in cui vengo assunto e quella B), in cui vengo respinto.

La differenza con l’interpretazione di Copenhagen

L’interpretazione di Copenhagen è la più diffusa interpretazione della meccanica quantistica. Essa considera due regni, il macroscopico (governato dalle leggi di Newton), e il microscopico regno quantico di atomi e molecole, governato dall’equazione di Schrödinger. In sostanza dice che non dobbiamo preoccuparci della realtà fisica degli oggetti quantistici del regno microscopico. Un’esistenza che consente il calcolo dei loro effetti sui nostri strumenti macroscopici è per noi sufficiente.

Ma che differenza c’è fra l’interpretazione di Copenhagen e quella dei molti mondi? La prima sviluppa infinite possibilità, la seconda crea distinti rami di realtà. O universi paralleli.

Nell’esperimento del gatto di Schrödinger, la concezione classica della fisica ci dice che il gatto o è vivo, o è morto: non resta che aprire la scatola per scoprirlo. Questo coincide anche con il senso comune, dove le cose sono oggettive. Per la fisica quantistica, invece, il felino si trova in una specie di limbo in cui vi è la possibilità che sia vivo e morto allo stesso tempo.

Per la teoria dei molti mondi avviene una divisione in due rami. In altre parole, c’è una realtà in cui il gatto continua ad essere vivo e un’altra in cui è deceduto. Ma cosa succede a noi che apriamo la scatola? Ci dividiamo anche noi in due rami: una in cui accertiamo che il gatto sia sopravvissuto e un’altra in cui ne constatiamo il decesso. E nessuno dei “due noi stessi” si rende conto dell’esistenza dell’altro.

Riferimenti:

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