Viaggi nel tempo e teoria della relatività: verità o fantascienza? Analizziamo insieme una delle più fortunate serie tv Netflix degli ultimi anni.

Non c’è dubbio che “Dark” (Netflix, 2017) sia una delle serie tv che abbia appassionato di più gli amanti della fantascienza, negli ultimi anni. Per chi non l’avesse mai vista, si trova sulla piattaforma Netflix ed è composta da tre stagioni (non ce ne sarà una quarta). La prima stagione ha 10 episodi, le altre due solo 8. Ogni puntata dura fra i 45 e i 73 minuti e la storia gira attorno ai viaggi nel tempo e alla teoria della relatività, con numerose allusioni ai wormhole. Ma cerchiamo di capire bene cosa c’è di vero nella fantascienza di “Dark”.

Gli attori Louis Hofmann e Lisa Vicari. Credit: Wiedemann & Berg Television (Netflix)

La trama di “Dark”

In una tranquilla cittadina tedesca iniziano a scomparire misteriosamente dei bambini. Le successive ricerche porteranno quattro famiglie (Kahnwald, Nielsen, Doppler e Tiedemann) a rivelare oscuri segreti e a riportare alla luce episodi del passato che si credevano dimenticati. Uno degli argomenti più trattati nella serie sono i viaggi nel tempo. Uno dei concetti citati più spesso, tra l’altro, è la teoria della relatività e l’utilizzo dei wormhole. Facciamo chiarezza.

Relatività ristretta e generale furono teorie rivoluzionarie di Einstein agli inizi del Novecento. Lo scienziato tedesco non solo riuscì a smentire la teoria secondo la quale esistesse un fluido invisibile (l’Etere) che pervadesse tutto l’universo, ma introdusse nella fisica il concetto di spazio-tempo.

Egli immaginò lo spazio-tempo come un enorme lenzuolo: se su questo lenzuolo mettiamo una sfera, come ad esempio la Terra, il telo si deforma creando un avvallamento. Se sul telo aggiungiamo una pallina più piccola, la vedremo finire dentro l’avvallamento creato dalla sfera precedente. Altra cosa che noteremmo è che man mano che la seconda pallina si avvicina al centro dell’avvallamento (per Einstein la cosiddetta singolarità), inizierà ad andare sempre più veloce. Ecco spiegato perché si parla di spazio-tempo: non solo abbiamo una deformazione dello spazio, ma abbiamo capito che il tempo non è più una costante immutabile, ma cambia a seconda di dove ci si trova. L’esempio più eclatante, per capire meglio l’argomento, è quello del paradosso dei gemelli, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo.

Rappresentazione artistica della deformazione spazio-temporale

Il concetto di wormhole

In “Dark” si fa poi un uso molto frequente del termine “wormhole”, una sorta di cunicolo spazio-temporale in grado di far muovere i protagonisti fra le dimensioni (o gli universi, per dirla alla Jonas). Fu un assistente di Einstein, tale Nathan Rosen, a teorizzare per primo la possibilità di creare delle scorciatoie all’interno dello spazio-tempo. Sono i famosi ponti di Einstein-Rosen, più comunemente conosciuti come “wormhole”.

Rosen immaginò di piegare il tessuto spazio-temporale (il lenzuolo precedente) al punto da poterne avvicinare i due lembi. Per fare questo sarebbe necessaria una massa incredibilmente grande, come quella di un buco nero per esempio. Ma dato che lo spazio e il tempo sono la stessa cosa, sarebbe possibile spostarsi da un punto all’altro del “lenzuolo” non solo a livello spaziale, ma anche temporale.

Dark: gli universi paralleli

A un certo punto, però, l’intrecciata trama della serie si complica ed entra in ballo la meccanica quantistica. Nei primi anni del Novecento un fisico di nome Niels Bohr formulò la cosiddetta “Interpretazione di Copenhagen”, secondo la quale una particella non possiede una posizione definita, finché non viene misurata. In pratica finché non la misureremo, quella particella sarà ovunque, sia in un posto che in un altro. Che è un po’ quello che abbiamo raccontato spiegando il famoso paradosso del gatto di Schrodinger.

Einstein, che non credeva assolutamente nell’uso della probabilità (“Dio non gioca a dadi”), non perse mai occasione di manifestare insoddisfazione nei confronti della teoria di Bohr. A questo punto, però, si inserì nella discussione un’altra teoria, quella dei Molti Mondi di Hugh Everett. Egli eliminò il problema del collasso della funzione d’onda, sostenendo che tutti gli esiti potenziali potessero realizzarsi, ma non nello stesso universo. Da qui, l’esistenza di un multiverso di universi paralleli che non possono venire a contatto fra loro.

Questa interpretazione riscosse parecchio successo, e non solo tra i fisici, ma anche tra gli scrittori di fantascienza. Tra l’altro un fisico inglese di nome Deutsch sosteneva che si potrebbe dimostrare questa teoria attraverso un computer in grado di creare un fenomeno di interferenza quantistica e ricombinare i due mondi precedentemente separati. Vi ricorda qualcosa?

Riferimenti:

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