Le prime stelle, grazie alla loro massa enorme, furono le prime produttrici di ferro nell’Universo… forse. Nuovi risultati e un po’ di chiarezza.

9 Febbraio 2014, l’autorevole giornale “Nature” pubblica la scoperta della stella piu’ vecchia conosciuta finora con un’eta’ accuratamente determinata: 13.6 miliardi di anni. Conosciuta col codice fisc… cioe’, volevo dire col nome di SMSS 0313-6708, la stella presento’ una particolarita’ incredibile: dal suo spettro ottico non e’ possibile rilevare la benche’ minima traccia di ferro. O meglio, SE c’e’ esso deve essere almeno 30 volte meno abbondante rispetto a quanto contenuto nelle stelle più povere di ferro conosciute in precedenza. Ma un momento… come e’ possibile? SMSS 0313-6708 (indicata in figura) e’ una stella di piccola massa, intorno ai due terzi di quella solare, cosa che le ha permesso di bruciare il suo idrogeno in modo molto tranquillo e senza fretta, facendole raggiungere la sua attuale veneranda eta’. Ma e’ la sua composizione chimica ad essere inredibilmente interessante, che pare indicare che la stella sia nata dalle ceneri dell’esplosione di una SINGOLA supernova, originata dall’esplosione di una stella molto massiccia vissuta in precedenza. Ma tali stelle, di massa ragguardevole, sono delle ben note produttrici di ferro, che l’esplosione di supernova avrebbe dovuto spargere nello spazio interstellare, andando ad arricchire le nubi da cui la generazione stellare successiva sarebbe nata. Eppure, di ferro in questa stella non vi e’ traccia. Ma niente panico, i ricercatori autori dello studio si son presi la premura di far luce su questo mistero.

SMSS 0313-6708, la stella piu’ vecchia conosciuta finora con un’eta’ accuratamente determinata. Credits: NASA/STSCI

Quello che S. C. Keller e altri collaboratori, sopratutto del Mount Stromlo Observatory (Australia) e MIT (USA), han fatto e’ stato paragonare le abbondanze degli elementi rilevate su SMSS 0313-6708 a quelle calcolate simulando l’esplosione di stelle con una composizione iniziale “primordiale” (consistente solo di idrogeno, elio e tracce di litio), tipica delle prime stelle, e masse diverse. Riuscirono innanzitutto a restringere il campo, determinando come la massa della stella esplosa fosse sicuramente compresa tra le 10 e le 70 masse solari. Infatti, supernovae da stelle con massa inferiore alle 10 masse solari produrrebbero ferro in modo eccessivo, mentre quelle con massa superiore alle 70 masse solari non sono in grado di spiegare l’alta abbodanza di carbonio di SMSS 0313-6708, oltre a produrre troppo azoto. Invece, l’esplosione di una stella all’interno di questo intervallo di massa, in particolare di una stella di circa 60 masse solari, e con composizione primordiale formano un buco nero centrale all’atto dell’esplosione, il quale inghiotte inesorabilemte gli elementi pesanti come il ferro prodotte nelle zone centrali della stella facendoli sparire per sempre, evitando quindi che vengano espulsi. Invece, elementi piu’ leggeri come carbonio, magnesio e calcio, prodotti in zone piu’ esterne sono dispersi dall’esplosione, potendo divenire materia prima per la formazione delle stelle successive.

Nuovi risultati, nuove domande…

Non sembra quindi sorprendere che l’elemento piu’ pesante rilevato nella composizione chimica di SMSS 0313-6708 sia infatti il calcio, proprio come quello che compone le nostre ossa. Stando alle simulazioni numeriche effettuate da Keller e colleghi, esso non si sarebbe foramato durante l’esplosione di supernova, bensi’ prima, durante il bruciamento dell’idrogeno, grazie al ciclo carbonio-azoto-ossigeno, meglio noto come ciclo CNO. Ma un momento, abbiamo detto che le prime stelle erano nate da una composizione primordiale, in cui non vi era traccia di elementi piu’ pesanti del litio! C’e’ una spiegazione anche per questo, in quanto in virtu’ della loro composizione iniziale cosi’ povera di elementi pesanti, tali stelle avevano un’opacita’ molto bassa, ovvero la radiazione e la luce prodotta al loro interno interagiva debolmente con la loro materia e scappava via piu’ facilmente. Questo vuol dire che la pressione verso l’esterno generata dalla radiazione stellare era alquanto ridotta, dando come risultato una struttura molto piu’ compatta e calda. In queste condizioni, l’elio puo’ iniziare a bruciare in anticipo rispetto ai programmi, producendo il carbonio e l’ossigeno necessari a iniziare il ciclo CNO per un efficiente bruciamento dell’idrogeno. Se poi la stella e’ abbastanza calda, come ci si aspetta dagli interni di un colosso primordiale di 60 masse solari, i protoni (ovvero nuclei atomici di idrogeno) potrebbero essere catturati in sequenza formando prima fluoro, poi neon e via di seguto fino al calcio. Uno scenario che pare molto plausibile, vero? Si, se non fosse che appena tre settimane fa, in data 26 Maggio 2021, uno studio su “Physical Review C” abbia pubblicato i risultati di un ri-calcolo l’efficienza in funzione della temperatura delle seguenti due reazioni nucleari

fluoro-19 + protone → neon-20 + fotone
fluoro-19 + protone → ossigeno-16 + elio-4

Si tratta proprio di quelle rezioni nucleari determinanti nella produzione del calcio nelle stelle primordiali. Le conclusioni? Stando ai dati sperimentali disponibili, sembra molto difficile che il calcio possa essersi formato nella maniera ipotizzata.

…e nuove teorie!

Ma non e’ finita, perche’ nel 2018 alcuni ricercatori dell’Universita’ di Victoria (Canada) dimostrarono, sempre grazie a simulazioni al computer, come al bordo tra i gusci di idrogeno ed elio in una stella primordiale sia possibile formare un isotopo particolare del carbonio, ovvero il carbonio-13. Tale isotopo ha una proprieta’ meravigliosa: nel momento in cui interagisce con nuclei di elio a temperure di oltre 200 milioni di gradi, esso produce rapidamente ossigeno-16 insieme a moltissimi neutroni. Questi neutroni potrebbero cosi’ essere catturati dai nuclei di ossigeno, producendone isotopi instabili che decadrebbero in fluoro, il quale a sua volta ne catturerebbe altri per poi decadere in neon… fino ad arrivare a produrre il calcio. Secondo questa ipotesi, sarebbero quindi i neutroni, non i protoni, ad essere i mattocini fondamentali nella costruzione dei primi elementi di massa intermedia prodotti in alcune delle primissime stelle.

In conclusione…

Tali, recenti, risultati suggeriscono quindi che questo speciale tipo di supernove, chiamate “supernove deboli”, dove la formazione di un buco nero trattiene una fetta consistente della materia ed energia espulsa, potrebbero essere state molto comuni nell’Universo primordiale e potrebbero aver limitato in modo significativo la produzione del ferro da parte della prima generazione stellare. Si tratta insomma di un ulteriore indizio su come dovessero essere le prime stelle, tra gli oggetti a noi piu’ misteriosi in assoluto, la cui luce, forse, potremmo osservarla grazie alla futura generazione di grandi telescopi, ELT su tutti.

Fonti:

Clarckson et al.; Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters, Volume 474, Issue 1, February 2018, Pages L37–L41

de Boer et al.; Physical Review C, 103, 055815 (2021)

Keller et al. 2014, Nature, VOL 506