Scoperta fosfina tra le nubi di Venere. Ma che cos’è? E perché ci importa? Ecco un approfondimento a riguardo

Di Luca Perri

Mia moglie dice che sono lento, e probabilmente ha ragione. Sarà per questo che non commento mai a caldo le grandi notizie. Credo però sia più utile fare assieme a voi qualche (eufemismo) riflessione “a freddo”, piuttosto che spammare notizie magari frammentarie in anteprima. Per comunicare le news c’è tanta gente bravissima e affidabile, e lascio volentieri a loro il compito. Ad ogni modo, la notizia su Venere l’avrete ormai letta ovunque. Si è però creata un po’ di confusione (eufemismo). Mi riferisco soprattutto ai giornali. Capita infatti che i lettori possano fraintendere, quando uno dice di aver scoperto tracce di una molecola e il messaggio che viene riportato – fra una notizia sui meriti sanitari della millenaria astensione sessuale cattolica e una sul Grande Fratello VIP – è “OMIODIONONSIAMOSOLIHANNOTROVATOGLIALIENI”… Cerchiamo quindi di rilassarci tutti quanti, prendere un bel respiro e capire cosa hanno davvero trovato e cosa la scoperta implichi. Che nella scienza non si corre.

Fosfina
Modello 3D della Fosfina

Il pianeta Venere

La superficie di Venere è un postaccio. Nuvoloni che non fanno mai vedere il Sole, atmosfera opprimente carica di anidride carbonica, caldo torrido e un sacco di pioggia. La Brianza d’estate, insomma. Però versione 2.0, potenziata: oltre 450°C, una pressione 90 volte quella terrestre e la pioggia è più acida. Nello specifico è acido solforico. Questo fa sì che le probabilità, visitandola, di trovare qualcuno che vi saluti per strada è abbastanza bassa. Esattamente come in Brianza. C’è però una zona dell’alta atmosfera, a spanne tra i 40 e i 70 km di quota, che presenta delle condizioni più decenti, con pressione simile a quella terrestre, temperatura di circa 30 gradi e buone probabilità di trovare acqua nebulizzata. Soprattutto considerando quello che c’è sulla superficie, questa zona sarebbe Gardaland: accogliente e piena di opportunità. Certo, manca l’ossigeno e non si respira, ma l’ossigeno non c’è neppure su Venere.

Se in queste ore vi è capitato di leggere la frase «Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie» (frase che andrebbe ricordata sempre, soprattutto dai cosiddetti giornalisti di inchiesta o dai complottisti), è perché l’ha pronunciata e scritta Carl Sagan: astrofisico, divulgatore, scrittore di fantascienza e ideatore di messaggi per gli alieni… ha fatto tutto, Sagan… un Pippo Baudo dello spazio. Ecco, proprio Sagan nel 1967 ipotizzò che in questo parco giochi sospeso fra le nuvole venusiane potessero annidarsi colonie di forme di vita microbica. Un’ipotesi letteralmente campata in aria? Be’, nemmeno troppo, visto che studi successivi hanno dimostrato che alcuni batteri possono campare allegramente nelle nubi terrestri (prima che qualcuno si allarmi visto il periodo, BATTERI, NON VIRUS). Quindi non è del tutto vero, come ho letto, che nessuno si aspetta(va) vita su Venere. Certo, c’era più attenzione sugli omini verdi di Marte, sulle lune di Giove che nascondono oceani liquidi sotto chilometri di ghiaccio o su Titano, luna di Saturno stracolma di metano. Però insomma, di vita microbica nell’atmosfera venusiana se ne discute da mezzo secolo abbondante. E non se ne discute e basta, a tempo perso. Si indaga. Per farlo si potrebbero mandare sonde per trovare direttamente le forme di vita. Ne abbiamo mandate, fra gli anni ’60 e gli ’80, arrivando a scendere sulla superficie. Però al momento non abbiamo nulla, lì su. Quindi bisogna trovare un modo per farlo da qui. Ad esempio cercando i cosiddetti bio-tracciati, cioè molecole presenti in atmosfera (di Venere, in questo caso) che risultano da processi biologici.Un esempio è l’ossigeno. La probabilità che si trovi in grandi quantità in un’atmosfera senza che qualche forma di vita continui a produrlo e a sputacchiarlo in giro è scarsa, quindi se trovo tanto ossigeno posso iniziare ad emozionarmi. Noi astrocosi siamo gente particolare: non vogliamo diamanti e oro, per quelli basta andare su Nettuno o raccattare un asteroide; noi vogliamo palle di ossigeno. Ma a proposito di bio-traccianti, eccoci giunti alla fosfina di cui tutti ormai parlano. Non se l’è mai filata nessuno, la povera fosfina. Da ieri, se non la nomini almeno 3 volte al giorno sei come un cantante pop latino che non ha fatto un featuring con Pitbull: non esisti. Gli unici che l’avranno sentita prima sono forse gli appassionati di Breaking Bad: è il composto tossico che usa Walter White per ammazzare i tizi nel camper.

Venere
Venere e le sue nubi. Credit: Daniele Gasparri

Ma che cos’è? E perché ci importa?

È una semplice molecola composta da un atomo di fosforo e tre di idrogeno (la formula è PH_3, o PH? se lavorate per Repubblica.it). Ci interessa non tanto per le sue caratteristiche intrinseche – tipo il profumo di cadavere in decomposizione o il fatto che possa essere un ottimo insetticida – quanto più per la possibile origine. Sulla Terra viene infatti prodotta in grandi quantità da processi legati a batteri anaerobi, cioè che campano senza ossigeno. Molti studi, negli anni, l’hanno quindi considerata un fortissimo bio-tracciante per i pianeti rocciosi come la Terra. O come Venere.

Ecco perché qualche anno fa un gruppo di ricerca internazionale, capitanato da Jane Greaves dell’università di Cardiff, ha iniziato a scandagliare l’atmosfera di quel pianeta apparentemente inospitale. Lo ha fatto analizzando la luce (emissione radio) che la attraversava. Quando la luce incontra determinate molecole, infatti, una parte di quella luce viene assorbita. Ogni molecola assorbe una specifica lunghezza d’onda, lasciando un buco. Una specie di impronta digitale ben precisa. Nel giugno del 2017, utilizzando il James Clark Maxwell Telescope alle Hawaii, il gruppo ha per la prima volta trovato l’impronta dovuta alla fosfina, proprio nello strato di nubi alle quote ipotizzate da Carl Sagan. E si è tenuto la notizia per sé.Giustamente: nella scienza non si corre, non si spara una notizia del genere senza esserne sicuri. Altrimenti poi finisci con lo scoprire che i microfossili marziani che hai trovato nel meteorite sono in realtà minerali, o che le forme di vita basate sull’arsenico sono basate sul carbonio come le altre, o che i neutrini più veloci della luce sono dei neutrini normali ma tu hai attaccato male degli spinotti.

ALMA. Credit: ESO

Per anni quindi sono stati raccolti altri dati, utilizzando anche il radiotelescopio ALMA (Atcama Large Millimeter Array) in Cile per verifica. Dati che hanno confermato la presenza di fosfina. Non tracce, eh, ne hanno trovata una sfracca. Conferma, arrivata, dunque. Ma che il gruppo si è tenuto per sé. Giustamente n°2: nella scienza non si corre, non si spara una notizia del genere senza ragionare un attimo sul significato di ciò che si è scoperto. Altrimenti poi può arrivare qualcuno a dirti che esistono anche altri modi non biologici per produrre fosfina. Cosa vera, peraltro. Ecco perché il gruppo ha analizzato tutte le possibilità note. Si può produrre fosfina, ad esempio, facendo reagire acqua, soda caustica e fosforo bianco (non rosso, Heisenberg dei miei stivali…), o comunque con altre reazioni di laboratorio. Possiamo però ragionevolmente escludere che sulle nubi di Venere stiano sintetizzando cristalli di metanfetamina. Piccole quantità si hanno in presenza di fulmini o eruzioni vulcaniche. Nello spazio si può anche formare grazie al cosiddetto vento solare, cioè il flusso di particelle emesse dall’alta atmosfera della nostra stella. Pure comete e meteoriti ne contengono tracce. E a dirla tutta, nonostante i proclami americani e sovietici, le sonde spedite nei decenni scorsi erano sterili tanto quanto le mani medie degli uomini che uscivano dai bagni dell’autogrill nell’era pre-Covid. Quindi avremmo potuto portare noi batteri anaerobi su Venere. Ma se le cause fossero queste, naturali o artificiali, dovremmo essere di fronte a concentrazioni molto basse, circa 10mila volte inferiori a quelle che sono state misurate. Possiamo quindi ragionevolmente scartare queste ipotesi.

Dunque?

Dunque la Royal Astronomical Society ha deciso che la scoperta si poteva annunciare al mondo in pompa magna. Ma non necessariamente per il motivo a cui tutti pensano.Nelle atmosfere dei pianeti è infatti possibile che si formi fosfina in grandi quantità quando l’idrogeno si trova ad altissime pressioni e temperature, come ad esempio sui giganti gassosi. Ne abbiamo infatti trovate tracce su Giove, e nessuno si è emozionato troppo. Da sempre, però, si pensa che tali circostanze non siano riscontrabili sui pianeti rocciosi. Da qui la pompa magna, perché o a produrre quelle vagonate di fosfina sono cosetti vivi o sui pianeti rocciosi ci sono processi sconosciuti che stanno agendo in gran quantità.Ed è esattamente questo che la Greaves è i colleghi hanno dichiarato. NON hanno detto di aver trovato le prove di vita microbica su Venere, hanno detto che la quantità di fosfina trovata non è compatibile con cause note, forme di vita a parte. Poi parliamoci chiaro, è ovvio che tutti facciano il tifo per la prima ipotesi. A partire dalla Greaves. Intanto perché un Nobel a curriculum fa sempre la sua porca figura, e poi perché sennò vorrebbe dire che non abbiamo veramente capito un tubo dei pianeti rocciosi, pur abitandone uno.

Venere
Venere. Credit: Massimiliano Veschini

Ciò detto, io a non capire un tubo sono abituato e quindi trovo stimolante il fatto che, MAL CHE VADA, lo studio ci porterà a scoprire una chimica sconosciuta. Se invece saremo fortunati avremo per la prima volta nella storia della scienza posto delle basi importantissime per la scoperta di vita extraterrestre. Microbi, ok, ma a parte gli ufologi nessuno si aspettava tizi che fanno volare biciclette per telefonare a casa. E non l’avremmo trovata a decine, centinaia o migliaia di anni luce, ma solo a qualche decina di milioni di chilometri di distanza. In termini astronomici, a uno sputo da casa. Breve precisazione qui, per evitare che agli amici biocosi (oggi mi sento inclusivo) venga un infarto: si parla di generica forma di vita microbica, non batteri come si legge qua e là. Cioè roba piccola che, per convergenza evolutiva, potrebbe fare cose simili ai batteri anaerobi terrestri. Dubito però possa essere classificata come batteri, anche perché batteri simil-terrestri non camperebbero mai con tutto quell’acido solforico (edit: mi dicono che potrebbero, buon per loro. Comunque qui non si parla di batteri su Venere).

E quindi ora che si fa?

Ciò che si fa sempre, nella scienza vera: si aspetta e si indaga, con calma e sangue freddo.Cioè, possiamo scommettere sul fatto che le agenzie spaziali si scanneranno per raggiungere Venere il prima possibile, mentre prima di ieri gliene fregava ben poco. Ma tanto ci vorrà almeno un decennio prima che facciano qualcosa tipo mandare una sonda a prelevare campioni di nuvole acide. Quindi, nel frattempo, proseguiamo con lo studio di possibili altre cause (che in giro per il mondo stanno già ipotizzando). Rianalizziamo i dati, per essere certi di non aver misurato robe a caso. Cerchiamo di trovare modo per approfondire le analisi da qui.Insomma, routine: si chiama metodo scientifico.Questa volta però, lo seguiremo con la meravigliosa consapevolezza che, qualunque sia la conclusione della ricerca, questa ci condurrà a qualcosa di mai visto prima. Ora scusate, potrei proseguire per ore, ma a parte che credo di avervi ucciso di logorrea e di essere rimasto solo nella riflessione, ora devo andare: oggi è il compleanno di mia moglie e le ho già sottratto fin troppo tempo. Credevo ci avrei messo di meno a scrivere il post, ma come dicevo mia moglie probabilmente ha ragione: sono lento. D’altro canto, nella scienza non si corre.

Articolo redatto dall’astrofisico e divulgatore scientifico, Luca Perri

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