83 Kg, 58 cm di diametro… Era il 4 ottobre 1957, il mondo vedeva sorgere l’alba dell’Era Spaziale con il “Bip-Bip” dello Sputnik 1!

83 Kg, 58 cm di diametro… Era il 4 ottobre 1957, il mondo vedeva sorgere l’alba dell’Era Spaziale con il “Bip-Bip” dello Sputnik 1! Partiamo con un comunicato:

Come risultato del grande e duro lavoro degli Istituti di ricerca scientifica e degli uffici di progettazione, è stato creato il primo satellite artificiale della Terra. Il quattro ottobre dell’anno 1957 è avvenuto con successo il primo lancio satellitare al mondo“. Comunicato della TASS del 4/10/1957.

Con questo scarno comunicato il mondo è venuto a conoscenza del lancio, avvenuto con successo, del primo satellite artificiale della storia dell’Umanità. Era una palla di 83 kg, aveva un diametro di 58 cm ed era costruito in una lega di alluminio. All’interno aveva un trasmettitore ad onde corte che trasmetteva un segnale radio continuo (un “bip-bip”) su due frequenze: 20,005 e 40,002 MHz. la sua orbita era inclinata di 65° sull’equatore in modo tale che passasse su tutte le aree abitate della terra. Rimase in funzione per 21 giorni rientrando, poi, il 4 gennaio 1958. Il suo nome, Sputnik, vuol dire “compagno di viaggio” oppure “Satellite”; è una parola composta, formata dalle due parole “S-put’” cioè “nel viaggio” (il suffisso “s” unito alla parola “put’ “, che vuol dire percorso, viaggio) e “nik” che è un suffisso che identifica colui che fa una cosa (Es. “Tamosgnik” = doganiere colui che lavora alla dogana da Tamsogen che vuol dire dogana).

Il bip-bip

Un nome semplice che si poteva dire in qualsiasi lingua. Ma lo stridulo “Bip-bip” che poteva essere captato con una qualsiasi apparecchiatura da radioamatore, fece perdere il sonno a tutto il mondo “occidentale”: per la prima volta un oggetto costruito dall’uomo poteva essere immesso in orbita attorno alla terra. Se fosse stato un’arma, avrebbe potuto colpire qualsiasi obbiettivo senza poter essere intercettato. Questo dava all’Unione Sovietica un vantaggio incredibile che gli Stati Uniti non erano in grado, al momento, di colmare.

Sputnik 1
Sputnik 1 rappresentazione artistica

Ma la storia dello Sputnik viene da molto lontano ed ora, insieme, riavvolgeremo il nastro degli eventi… Buio in sala… Iniziamo!

Fu addirittura Konstantin Eduardovic Tziolkowskji che, nel 1895, nel suo racconto di fantascienza “Sogni della terra e del cielo e gli effetti della gravitazione universale”, teorizzò la necessità di costruire dei satelliti artificiali intorno al nostro pianeta. Era evidente già all’epoca il vantaggio che un oggetto in orbita potesse avere per moltissimi aspetti pratici: osservazione del terreno ed osservazione dell’atmosfera. Durante i primi anni del XX secolo, oltre agli aspetti “pacifici” vennero ipotizzati, ahimè, anche gli indubbi vantaggi strategici. Ma, per fortuna, durante i conflitti mondiali, nessuno riuscì mai a raggiungere la tecnologia necessaria a realizzare simili armi. Nessuno tranne Verner Von Braun che, con le V2, arrivò a realizzare il primo missile balistico della storia.

Dalle V2 catturate ai tedeschi in ritirata dal nord Europa, gli americani da una parte ed i sovietici dall’altra, iniziarono a sviluppare dei lanciatori sempre più potenti ed in grado di poter colpire obiettivi al di là dell’Oceano. Gli Stati Uniti avevano un indubbio vantaggio nell’essersi assicurati i servizi del padre delle V2, Von Braun appunto, che grazie alla celebre operazione “Paperclip” rifugiò in America insieme alla gran parte del suo staff ed a tutti i progetti delle sue “creature”. Diversamente l’URSS era riuscita ad assicurarsi (con le buone o con le cattive…) solo progettisti di secondo piano e poche V2. Fu grazie alla genialità di Korolev e Glushko che la ricerca poté andare avanti.

Arriviamo al 1957. Anno geofisico internazionale

Fu indetto, dal luglio 1957 al dicembre 1958, con lo scopo di coordinare su scala mondiale un insieme di ricerche volte ad una maggior conoscenza delle proprietà fisiche della Terra e delle interazioni tra il Sole ed il nostro pianeta. In un discorso televisivo del 30 giugno 1957, il Presidente statunitense Eisenhower disse: “il risultato più importante dell’Anno geofisico internazionale è la dimostrazione della capacità dei popoli di tutte le nazioni di lavorare insieme armoniosamente per il bene comune. Esprimo la speranza che ciò possa diventare una pratica comune in tutti i campi dell’attività umana”.

Gli Stati Uniti annunciarono, il 29 luglio 1955 che, in occasione dell’anno geofisico internazionale, avrebbero lanciato un satellite artificiale. Quattro giorni dopo l’Unione Sovietica annunciò che l’URSS avrebbe fatto altrettanto. Ma, mentre gli Stati Uniti disperdevano le proprie forze tra il progetto di lanciatore proposto dalla Marina e quello proposto dalla NACA (antenato della NASA) e da Von Braun, in Unione Sovietica l’OKB-1 di Korolev ebbe l’incarico di progettare e costruire il suo satellite. Prima, però, avrebbe dovuto realizzare il primo ICBM della storia, cioè il primo missile intercontinentale. Cosa che fece lanciando con successo il primo R-7 il 21 agosto del 1957. Sulla storia del “Piccolo settimo”, dal nomignolo affettuoso, Semjorka, ho già dedicato un lungo articolo che chi mi segue conosce già. Ma soffermiamoci su cosa, una volta deciso con quale lanciatore sarebbe partito, sarebbe stato mandato in orbita.

Oggetto D

Il progetto originario, chiamato “Oggetto D”, prevedeva un satellite di circa 1400 Kg di peso in grado di trasportare circa 300 Kg di strumenti scientifici. Perché “Oggetto D”? Beh, la spiegazione sta nell’origine militare del lanciatore R7; gli Oggetti A, B e V, secondo le prime tre lettere dell’alfabeto cirillico, sono le tre configurazioni possibili per il montaggio delle testate nucleari sul lanciatore Semjorka. La “configurazione D” era una particolare configurazione che prevedeva l’utilizzo “civile” dell’R7. Tutto qui… La strumentazione dell’Oggetto D avrebbe misurato la densità e la composizione dell’atmosfera, il vento solare, il campo magnetico terrestre ed i raggi cosmici.

Ma ci si rese ben presto conto che, con l’R7 a disposizione, era impossibile portare in orbita un carico così pesante entro il 1957: serviva uno stadio supplementare e la cosa non era fattibile in tempi brevi, soprattutto con la “spada di Damocle” dell’annunciato imminente lancio satellitare statunitense. Si dovette, quindi, ripiegare su qualcosa di più piccolo e leggero, un satellite di 100 kg al massimo che venne chiamato “Oggetto PS” dalla sigla della parola “Prosteishy Sputnik” cioè “Satellite semplificato”. E semplificato lo era davvero! Progettato da Mikhail S. Khomyakov era una sfera di lega di alluminio dal peso di 83 Kg e dal diametro di 58 cm. Al suo interno, come detto, un trasmettitore ad onde medie che trasmetteva su due frequenze e le batterie necessarie ad alimentarlo per una ventina di giorni. Ne furono realizzati tre esemplari: due prototipi e la versione che volò realmente il 4/10/1957. Di questo satellite, distruttosi nel rientro nell’atmosfera, resta soltanto una placca isolante che venne rimossa prima del lancio per preservare la batteria del trasmettitore. Questo preziosissimo reperto si trova esposto presso lo Smithsonian Institute di Washington insieme ad una replica dello Sputnik a grandezza naturale. I due prototipi, invece, si trovano uno al museo dell’RKK Energhia, vicino Mosca ed è visitabile su appuntamento, l’altro presso il Museo del Volo di Seattle. Alcuni prototipi in scala sono di proprietà di collezionisti privati. Altre repliche a grandezza naturale si trovano, oltre che al Museo della Cosmonautica di Mosca, al palazzo delle Nazioni Unite, al Museo della Scienza di Londra, al Museo Powerhouse in Australia ed all’ingresso dell’ambasciata di Russia a Madrid.

Tra il 1997 ed il 1999 vennero lanciate, dalla stazione spaziale MIR, tre repliche in scala 1:3, costruite da un gruppo di studenti universitari. La prima venne lanciata nel 1997, in occasione del 40° anniversario del lancio: si chiamava “Sputnik 40”, l’anno successivo venne lanciato “Sputnik 41” e nel febbraio del 1999 “Sputnik 99”. L’ultimo esemplare restò sulla Mir e si distrusse al rientro della stazione spaziale sovietica.
Come accennato, il più grande risultato dello Sputnik 1 fu il clamore che il suo debole segnale radio suscitò.

Rappresentazione artistica dello Sputnik-1

Progettato per essere osservato e ascoltato

Non era progettato per poter essere controllato ma per essere osservato ed ascoltato. Era molto riflettente e bastava guardare in basso sull’orizzonte nel cielo al tramonto per poterlo vedere. Inoltre, il suo segnale in onde medie era ricevibile pressoché dappertutto. La propaganda sovietica non se ne “impossessò” subito, ma quella occidentale sì. Scatenò, infatti un’ondata di isteria sulla concreta possibilità che l’unione Sovietica potesse raggiungere, dallo spazio, qualsiasi regione del globo senza poter essere intercettata. E questa “psicosi”, diede impulso alla ricerca spaziale americana. Grazie a questo scossone, venne imboccata una via univoca: abbandonati i progetti dei lanciatori della Marina, che stavano segnando il passo, ci si concentrò sulla NACA e su Von Braun. Venne trasformata l’agenzia in amministrazione statale e rinominata NASA ed il resto lo sappiamo tutti. Il primo risultato fu il lancio, il 31/1/1958, dell’Explorer-1, primo satellite statunitense che ebbe anche il merito (per un caso fortuito però) di scoprire le fasce di Van Allen. Caso fortuito perché, poco prima del lancio dell’Explorer-1, volò finalmente l’Oggetto D, col nome di Sputnik-3. Ma un errore di montaggio del relativo sensore, non diede a questo oggetto l’onore di scoprire le fasce di radiazioni attorno alla terra prima del collega/rivale statunitense.

L’inizio della partita

Nel frattempo, però, un altro Sputnik aveva volato, il 3 novembre del 1957: lo Sputnik-2 portando con sé il primo essere vivente a raggiungere l’orbita terrestre. La sfortunata Kudrjavka (Ricciolina), passata alla storia con il nome della razza di Husky nani a cui apparteneva: Laika (che vuol dire “piccola abbaiatrice”).
Ma l’onda lunga del volo dello Sputnik si ripercosse in occidente non solo per la preoccupazione di avere sopra la testa una “luna sovietica”, ma divenne un fenomeno di massa a livello linguistico con l’esplosione, nella lingua inglese, dell’uso di parole col suffisso “nik”. Un esempio: “Beatnik” per definire i ragazzi che si ispiravano al movimento “beat”. Ma anche “muttnik” che fu uno dei soprannomi dati ai cagnolini che vennero lanciati nello spazio dai sovietici (dalla parola “Mutt”, che vuol dire bastardino).

Inoltre, anche a causa delle poche notizie che trapelavano dalla “cortina di ferro” si continuarono a denominare “Sputnik” anche le missioni delle prime Vostock, sia con animali a bordo che con il famoso manichino “Ivan Ivanovic” ed anche alcune missioni del programma “Luna” e “Venera”. Insomma, era una palla di 58 cm, ma creò uno scombussolamento mondiale dirompente come una palla di biliardo lanciata sulle altre all’inizio della partita.

Ricordiamo che il 4/10/1959, la sonda Luna3 invia l’immagine del lato nascosto della Luna!

La prima immagine del lato nascosto della Luna, ripresa da Luna-3 nell’Ottobre 1959

Qui il libro “Noi abbiamo usato le matite”