Stephen Hawking è conosciuto per i suoi studi sui buchi neri e, tra le altre cose, per la teoria cosmologica sull’inizio dell’universo. Un po’ a sorpresa, però, non ha mai vinto il premio Nobel.

Complice il cinema, siamo soliti associare Stephen Hawking alla famosa “Teoria del Tutto”, quella cioè che ha cercato di mettere insieme la meccanica quantistica e la relatività generale. In realtà Stephen Hawking fu il primo a ipotizzare che il Big Bang fosse una sorta di buco nero “al contrario”. In pratica sosteneva che tutto avesse avuto inizio da una singolarità.

Stephen Hawking insieme al direttore di Intel, David Fleming, nel 2013.
Credit: https://www.flickr.com/photos/intelfreepress/8406010307/sizes/o/in/photostream/
(CC BY-SA 2.0)

Cosa c’entra Hawking coi buchi neri

Stephen Hawking intuì che un buco nero non può restringersi, anzi. Può solo aumentare di dimensioni. Non solo: comprese che la massa ne determina le dimensioni dello spazio che circonda la singolarità. Quel confine prende il nome di “orizzonte degli eventi”, come abbiamo visto in un precedente articolo. Arrivò poi ad accostare l’espansione di questo orizzonte degli eventi con un altro concetto, l’entropia. Quest’ultima misura il grado di disordine di un determinato sistema e può solo aumentare, mai diminuire. L’universo, insomma, diventa sempre più disordinato man mano che invecchia.

Fu il primo che riuscì a conciliare, almeno sulla carta, la relatività generale con la meccanica quantistica. Ricordiamo che la meccanica quantistica descrive fenomeni infinitamente piccoli (atomi e particelle), mentre la relatività generale fenomeni su scala cosmica. Sembrava impossibile, insomma, mettere insieme una teoria che immaginava lo spazio come liscio e continuo e un’altra che invece vedeva l’universo come granuloso, fatto di “quanti” infinitamente piccoli.

Attenzione: Hawking non è mai riuscito fino in fondo a unificare le due teorie. Quando questo sarà possibile, se lo sarà, si arriverà a quella “Teoria del Tutto” che sta alla base dell’opera del compianto astrofisico.

La radiazione di Hawking

Ma torniamo per un attimo al 1974 e allo studio di Hawking sui buchi neri. Egli dimostrò che, dal punto di vista termodinamico, posseggono una temperatura e un’entropia definite dal loro campo gravitazionale e dalla loro superficie. Di conseguenza, irradierebbero particelle subatomiche che formano la cosiddetta radiazione di Hawking.

Tale radiazione dovrebbe portare ad una progressiva diminuzione della massa del buco nero. Secondo lo scienziato, infatti, sull’orizzonte degli eventi si muoverebbero particelle e antiparticelle che, invece di annichilirsi entrambe subito dopo la loro creazione, si separerebbero e una delle due sfuggirebbe al buco nero.

In poche parole questa radiazione termica implicherebbe che un buco nero possa “evaporare”, anche se molto lentamente. Tale radiazione, però, sarebbe troppo debole per essere osservata, dato che è coperta da quella cosmica a microonde, di cui ci occuperemo in un prossimo articolo.

Immagine di copertina credit: NASA/Paul Alers https://www.nasa.gov/sites/default/files/thumbnails/image/3462939243_8986257667_o.jpg

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