Grazie alle immagini di Hubble gli scienziati hanno studiato l’alone di luce residua che avvolge il Sistema Solare.

Per secoli, l’oscurità del cielo notturno scintillante di stelle e il bagliore della luna è stata fonte di ispirazione e meraviglia per scienziati, artisti, filosofi e osservatori occasionali. Guardando il cielo notturno tutti ci siamo chiesti, quanto è davvero buio? La questione è stata oggetto di recenti studi da parte di un team di ricercatori dell’Arizona State University con contributi dalla University of Western Australia, della Macquarie University in Australia, del team di Hubble e di molti altri ricercatori.

Per scoprirlo, gli astronomi hanno deciso di selezionare più di 200.000 immagini dal telescopio spaziale Hubble della NASA e hanno effettuato decine di migliaia di misurazioni su queste immagini per cercare qualsiasi bagliore di fondo residuo nel cielo in un ambizioso progetto chiamato SKYSURF.

L’alone di luce residua

L’illustrazione mostra un semplice diagramma del Sistema Solare con macchie bianche che rappresentano la polvere delle comete. Credits: NASA, ESA, A. James.

Questo alone sarebbe composto da qualsiasi fonte luce residua dopo aver sottratto dal totale il bagliore di pianeti, stelle, galassie e della polvere nel piano del nostro sistema solare (chiamata luce zodiacale).

Quando i ricercatori hanno completato questo processo hanno trovato un eccesso di luce estremamente piccolo, equivalente a un bagliore costante prodotto da 10 lucciole sparse in tutto il cielo. È come spegnere tutte le luci in una stanza chiusa e trovare ancora un bagliore inquietante proveniente dalle pareti, dal soffitto e dal pavimento.

Il debole bagliore, denominato “luce fantasma”, è stato rilevato nell’analisi SKYSURF e la sua fonte è ancora incerta. I ricercatori affermano che una possibile spiegazione per questo bagliore residuo è che il nostro sistema solare interno contiene una tenue sfera di polvere proveniente da comete che stanno cadendo nel sistema solare da tutte le direzioni e che il bagliore sia la luce del sole che si riflette su questa polvere.

Se confermato, questo guscio di polvere potrebbe essere una nuova aggiunta alla nota architettura del sistema solare.

Un analisi dalle galassie più lontane

Immagine di oltre 10,000 galassie riprese dall’Hubble Ultra Deep Field. Credits: NASA, ESA, S. Beckwith (STScI) e HUDF Team.

Gli scienziati hanno esaminato in particolare l’immagine Hubble Space Telescope Ultra Deep Field della NASA per vedere se il team potesse quantificare in che modo le galassie, in particolare le galassie più deboli e lontane, potessero nascondersi in quell’immagine.

Il team ha ricevuto le immagini in bianco e nero dello spazio profondo e sono stati in grado di metterle insieme per simulare il modo in cui le galassie bloccano la luce proveniente dall’universo.

Questo lavoro ha richiesto la scrittura di un algoritmo per gestire immagini e dati, la sua elaborazione ha richiesto fino a due settimane per ottenere una buona immagine da quelle di Hubble.

In questi studi, il team ha utilizzato un “processo di impilamento” – sovrapponendo le immagini l’una sull’altra per capire meglio quali sono i dati che stanno guardando – per quantificare quante galassie potrebbero nascondersi in queste immagini profonde. Il team ha analizzato centinaia di migliaia di immagini d’archivio cercando qualcosa di diverso dagli oggetti luminosi ed incredibili che solitamente vengono guardati nelle foto di Hubble.

Il Sistema Solare. Credit: ETH Zurigo

Più del 95% dei fotoni nelle immagini dell’archivio di Hubble proviene da distanze inferiori a 3 miliardi di miglia dalla Terra. Sin dai primi giorni di Hubble, la maggior parte degli utenti di Hubble ha scartato questi fotoni del cielo, poiché sono interessati ai deboli oggetti discreti nelle immagini di Hubble, come stelle e galassie. Ma questi fotoni del cielo contengono informazioni importanti che possono essere estratte grazie alla capacità unica di Hubble di misurare i deboli livelli di luminosità con alta precisione.

I risultati della ricerca sono stati recentemente pubblicati su  The Astronomical Journal  e  The Astrophysical Journal Letters.

Riferimenti: Arizona State University

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