Una ricerca condotta sui buchi neri supermassicci al centro delle galassie ha trovato indizi di una correlazione con l’enigmatica energia oscura.

Negli anni ’20, gli astronomi appresero che l’Universo si stava espandendo come previsto dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein mettendo in crisi le ipotesi di un universo stazionario. Nel corso del tempo, queste scoperte hanno portato a una conclusione sorprendente: la velocità con cui l’Universo si sta espandendo, ovvero la costante di Hubble, non è stata costante nel tempo. Questo ha portato alla teoria dell’Energia Oscura, una forza invisibile che contrasta la gravità e fa accelerare questa espansione. Di recente, un team internazionale di ricercatori guidato dall’Università delle Hawaii ha ipotizzato che i buchi neri potrebbero essere all’origine dell’energia oscura.

L’attuale modello cosmologico

Credit: NASA

Secondo il modello più ampiamente accettato dell’Universo, l’Energia Oscura rappresenta il 68% del contenuto di energia di massa nell’Universo. Questa teoria ha resuscitato un’idea che Einstein aveva proposto ma successivamente respinto, l’esistenza di una costante cosmologica (indicata dal simbolo scientifico delta) che “tratteneva” la gravità e impediva all’Universo di collassare su sé stesso. Energia e materia oscura sono oggi parte integrante del modello cosmologico più diffuso, noto come modello Lambda-Cold Dark Matter (LCDM).

La teoria presenta alcuni problemi, non ultimo dei quali il fatto che non esiste alcuna prova diretta di questa misteriosa energia. Inoltre, mentre questa energia del vuoto è coerente con la meccanica quantistica, tutti i tentativi di calcolarla utilizzando la teoria quantistica dei campi sono falliti. E resta aperta la questione di come questa energia possa coincidere con i buchi neri supermassicci (SMBH) presenti nel nostro Universo.

Le osservazioni hanno dimostrato che la maggior parte delle galassie possiede SMBH nella regione centrale, il motivo per cui i nuclei galattici attivi e le quasar risultano così luminosi. La gravità estremamente potente degli SMBH fa sì che la materia circostante cada attorno a loro, formando dischi di accrescimento e potenti getti relativistici in cui la materia viene accelerata fino a quasi la velocità della luce (e rilascia enormi quantità di radiazioni nel processo).

La presenza di questi colossi al centro delle galassie più massicce richiederebbe una forza estremamente forte per contrastarli. Ciò è particolarmente vero quando si tratta delle singolarità teorizzate per esistere nei loro nuclei, dove le stesse leggi della fisica si infrangono e diventano indistinguibili. Ciò ha dato origine a una teoria esotica nota come “accoppiamento cosmologico”, che afferma che gli SMBH potrebbero possedere un’enorme energia oscura e che sono la ragione per cui l’Universo si sta espandendo.

La necessità di prove straordinarie

Rappresentazione artistica dell'espansione cosmica.
Credit: NASA’s Goddard Space Flight Center Conceptual Image Lab.

Nei loro documenti, il riporta la prima prova osservativa che i buchi neri guadagnano massa in un modo coerente con il loro contenuto di energia oscura. Se vera, la scoperta elimina la necessità che si formino singolarità al centro dei buchi neri. Ciò significherebbe anche che non sono necessarie nuove forza o teoria della gravità modificata affinché i nostri modelli cosmologici abbiano un senso. 

Il team è giunto a questa conclusione esaminando la storia evolutiva delle SMBH al centro delle galassie ellittiche giganti di circa 9 miliardi di anni fa. Si tratta di un tipo di galassie primordiali che si è formata all’inizio dell’Universo e da allora ha cessato di formare stelle, una cosiddetta “galassia dormiente”.

Decenni di osservazioni hanno dimostrato che i buchi neri possono aumentare la loro massa in due modi: accrescendo materia o fondendosi con altri buchi neri. Le galassie dormienti hanno poco materiale rimasto per l’accrescimento dei loro SMBH il che significa che una loro ulteriore crescita non può essere spiegata dai due meccanismi sopra menzionati.

Il team ha quindi confrontato le osservazioni di queste galassie ellittiche – che sembrano ancora giovani – con le galassie locali datate intorno ai 6,6 miliardi di anni fa, che da allora sono diventate dormienti. Queste osservazioni hanno rivelato che gli SMBH erano da 7 a 20 volte più grandi di quanto non fossero nove miliardi di anni fa, molto più grandi di quanto previsto dall’accrescimento o dalle possibili fusioni.

La teoria dell’accoppiamento cosmologico

Rappresentazione artistica di due buchi neri supermassicci in collisione. Credits: ESO

In un secondo articolo il team afferma inoltre che le misurazioni delle relative popolazioni di galassie in diversi punti della loro evoluzione (circa 7,2 miliardi di anni fa) abbiano mostrato una correlazione simile tra la massa degli SMBH e la dimensione dell’Universo. Ciò costituisce la prima prova di “accoppiamento cosmologico” mostrando che l’espansione dell’Universo e la crescita degli SMBH sono correlate.

Se ciò emergerà da ulteriori osservazioni, potrebbe effettivamente ridefinire la nostra comprensione dell’Universo e della natura dei buchi neri. Questo è il primo documento osservativo in cui non stiamo aggiungendo nulla di nuovo all’Universo come fonte di energia oscura: i buchi neri sarebbero essi stessi l’energia oscura che stiamo cercando.

Naturalmente, queste affermazioni sono state accolte con un certo scetticismo dalla comunità astronomica/astrofisica. In particolare, l’affermazione degli autori secondo cui le loro osservazioni costituiscono una prova dell’accoppiamento è stata contestata per aver confuso la correlazione con la causalità. Le conclusioni degli autori dello studio si basano infatti su un presupposto importante ovvero che esista “una relazione universale tra la massa del buco nero centrale e la massa delle stelle all’interno di una galassia, che può evolversi nel tempo cosmico ma dovrebbe essere allo stesso tempo universale”.

Da questo, hanno confrontato gli SMBH che hanno scelto per i loro dati campione per determinare se esiste un “parametro di accoppiamento” che mantiene lo stesso valore nel tempo cosmico. Alla fine, il team ha determinato con una confidenza del 99,8% che questo parametro ha un valore diverso da zero. E sebbene apparentemente convincente, questa conclusione si riduce a una relazione presunta. 

Secondo altri ricercatori gli autori presumono infatti l’esistenza di un accoppiamento che non c’è e attribuiscono l’evoluzione percepita dei rapporti di massa tra buco nero e stella a un accoppiamento, quando ciò che sta accadendo è che queste galassie e i loro buchi neri si stanno evolvendo. Dal momento che misuriamo ogni galassia in istante preciso nel tempo non abbiamo modo di sapere come si sta evolvendo un singolo oggetto ed è ciò che questa ricerca non sta in alcun modo considerando.

La capacità di verificare ripetutamente i risultati è uno dei requisiti più importanti affinché le prove siano considerate valide. In altre parole, i risultati devono essere dimostrabili più e più volte e – preferibilmente – utilizzando metodi diversi. Il team di ricerca è consapevoli di questo fatto e sperano che ripetute osservazioni possano confermare la straordinarietà della loro affermazione.

Riferimenti: Universe Today, The Astrophisical Journal Letters

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