Grazie ai dati del lander InSight gli scienziati hanno stabilito che alcune zone di Marte non sono morte, ma potrebbero contenere magma attivo.

Da febbraio 2019 il lander InSight della NASA ha effettuato le prime misurazioni della tettonica presente sul pianeta Marte e si è messo in ascolto di segnali di terremoti. Il set di dati raccolto con oltre 1.300 eventi sismici ha ampiamente confermato ciò che gli scienziati planetari sospettavano da tempo: Marte è in gran parte silenzioso. Tuttavia, un gruppo di ricerca guidato dall’ETH di Zurigo ha recentemente analizzato un gruppo di 20 terremoti recenti, rivelando qualcosa di molto interessante.

Sulla base della posizione e del carattere spettrografico di questi eventi, hanno determinato che la maggior parte delle faglie superficiali ampiamente distribuite di Marte non sono sismicamente attive. Tuttavia, la maggior parte dei 20 eventi sismici osservati ha avuto origine nelle vicinanze della Cerberus Fossae, una regione costituita da spaccature (detti anche graben). Questi risultati hanno suggerito che l’attività geologica e il vulcanismo svolgono ancora un ruolo attivo nel plasmare la superficie marziana.

La presenza di magma all’interno del mantello

Questo spettrogramma mostra il più grande terremoto mai rilevato su un altro pianeta. Credits: NASA/JPL-Caltech/ETH Zurich

Sulla base dei dati sismici raccolti da InSight, il team ha concluso che i terremoti a bassa frequenza potrebbero indicare la presenza di magma fuso nel mantello marziano. Nello specifico, hanno scoperto che gli epicentri di questi terremoti si trovavano principalmente nella parte più interna della Cerberus Fossae, a una profondità compresa tra 30 e 50 km sotto la superficie.

In questa regione il terreno sta sprofondando sotto il suo stesso peso, formando fratture parallele che separano la crosta di Marte.

Il team ha teorizzato che questi terremoti potrebbero essere gli ultimi sussulti di questa regione vulcanica un tempo attiva oppure che il magma si stia spostando verso est sotto la superficie verso la sua prossima eruzione.

Quando il team ha esaminato le immagini orbitali di quest’area, ha notato che questi terremoti si sono verificati molto vicino a una struttura che era circondata da depositi di polvere scura presenti in tutte le direzioni, e non solo nella direzione del vento come ci si sarebbe aspettato. E l’unica spiegazione è stata la presenza di attività vulcanica nel recente passato.

Le similitudini con la Terra

Rappresentazione artistica del lander InSight sul suolo di Marte. Credits: NASA/JPL-Caltech

A causa della sua natura rocciosa e della sua vicinanza alla Terra, Marte offre l’opportunità di studiare processi geologici simili a quelli che hanno modellato il nostro pianeta. Inoltre, Marte è l’unico pianeta oltre la Terra noto per avere un nucleo composto da ferro, nichel e zolfo che potrebbe aver sostenuto un campo magnetico.

Sulla Terra, questo campo risulta generato dall’azione simile a una dinamo che si sviluppa all’interno del pianeta, dove un nucleo esterno liquido ruota attorno a un nucleo interno solido in direzione opposta alla rotazione terrestre.

Oggi è opinione diffusa che, circa 4 miliardi di anni fa, l’interno del Pianeta Rosso si sia raffreddato rapidamente, causando la solidificazione del nucleo esterno mentre il nucleo interno si è fuso. Senza questo campo, l’atmosfera di Marte è stata lentamente strappata via dal vento solare nel corso dei millenni.

In precedenza, gli scienziati sospettavano che questo portasse Marte a essere diventato geologicamente morto miliardi di anni fa. Tuttavia, queste e altre indicazioni fornite dalle missioni robotiche mostrano che l’attività geologica non è del tutto cessata all’interno del Pianeta Rosso. Sebbene siano ancora necessarie ricerche approfondite per confermare questi risultati, l’evidenza di un potenziale magma nel mantello di Marte oggi è molto interessante.

Questi risultati dimostrano l’efficacia del lander InSight e dei suoi sofisticati strumenti e come più missioni robotiche che lavorano insieme possono portare a scoperte. 

La ricerca è stata guidata da Simon C. Stähler, uno scienziato del gruppo di sismologia e geodinamica dell’Istituto di geofisica dell’ETH di Zurigo e il documento che descrive le loro scoperte è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.

Riferimenti: Universe Today

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