Un nuovo studio spiega perché e come la luna di Giove Io è diventata il corpo celeste più vulcanico del Sistema Solare.
Gli scienziati della missione Juno della NASA su Giove hanno scoperto che i vulcani sulla luna di Giove Io sono probabilmente alimentati ciascuno dalla propria camera di magma ribollente piuttosto che da un incandescente oceano comune. La scoperta risolve un mistero vecchio di 44 anni sulle origini sotterranee delle caratteristiche geologiche più intriganti della luna Io. Giovedì 12 dicembre è stato pubblicato sulla rivista Nature un articolo sull’origine del vulcanismo di Io; le sue scoperte, insieme ad altri risultati scientifici su Io, sono state discusse durante una conferenza stampa tenutasi a Washington in occasione del convegno annuale dell’American Geophysical Union, il più grande raduno nazionale di scienziati della Terra e dello spazio.
La luna vulcanica
Circa delle dimensioni della Luna della Terra, Io è noto come il corpo vulcanicamente più attivo del nostro Sistema Solare. La luna ospita circa 400 vulcani, che eruttano lava e pennacchi in eruzioni apparentemente continue che contribuiscono al rivestimento della sua superficie. Sebbene la luna sia stata scoperta da Galileo Galilei l’8 gennaio 1610, l’attività vulcanica non fu scoperta fino al 1979, quando la scienziata Linda Morabito del Jet Propulsion Laboratory della NASA identificò per la prima volta un pennacchio vulcanico in un’immagine scattata dalla sonda spaziale Voyager 1 dell’agenzia.
“Fin dalla scoperta di Morabito, gli scienziati planetari si sono chiesti come i vulcani fossero alimentati dalla lava sotto la superficie”, ha affermato Scott Bolton, ricercatore principale di Juno del Southwest Research Institute di San Antonio. “C’era un oceano poco profondo di magma incandescente che alimentava i vulcani o la loro fonte era più localizzata? Sapevamo che i dati dei due sorvoli molto ravvicinati di Juno avrebbero potuto darci qualche spunto su come funzionava effettivamente questa luna torturata”.
La sonda spaziale Juno ha effettuato sorvoli estremamente ravvicinati di Io nel dicembre 2023 e nel febbraio 2024, arrivando a circa 1.500 chilometri dalla sua superficie a forma di pizza. Durante gli avvicinamenti ravvicinati, Juno ha comunicato con il Deep Space Network della NASA, acquisendo dati Doppler ad alta precisione e a doppia frequenza, che sono stati utilizzati per misurare la gravità di Io tracciando il modo in cui influenzava l’accelerazione della sonda spaziale. Ciò che la missione ha appreso sulla gravità della luna da quei sorvoli ha portato al nuovo articolo rivelando maggiori dettagli sugli effetti di un fenomeno chiamato flessione mareale.
Io è estremamente vicino al gigantesco Giove, e la sua orbita ellittica lo fa girare attorno al gigante gassoso una volta ogni 42,5 ore. Al variare della distanza, varia anche l’attrazione gravitazionale di Giove, che porta la luna a essere schiacciata inesorabilmente. Il risultato: un caso estremo di flessione mareale, ovvero l’attrito delle forze mareali che genera calore interno.
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Le violente forze mareali
“Questa flessione costante crea un’energia immensa, che letteralmente scioglie parti dell’interno di Io” ha affermato Bolton. “Se Io ha un oceano di magma globale, sapevamo che la firma della sua deformazione mareale sarebbe stata molto più grande di un interno più rigido, per lo più solido. Quindi, a seconda dei risultati dell’indagine di Juno sul campo gravitazionale di Io, saremmo stati in grado di dire se un oceano di magma globale si fosse nascosto sotto la sua superficie oppure no”.
Dati ricavati dai flyby
Il team Juno ha confrontato i dati Doppler dei loro due flyby con le osservazioni delle precedenti missioni dell’agenzia sul sistema di Giove e dei telescopi terrestri. Hanno scoperto una deformazione mareale coerente con il fatto che Io non abbia un oceano di magma globale poco profondo.
“La scoperta di Juno secondo cui le forze di marea non creano sempre oceani di magma globali fa più che spingerci a ripensare a ciò che sappiamo sull’interno di Io“, ha affermato l’autore principale Ryan Park, un co-investigatore di Juno e supervisore del Solar System Dynamics Group presso il JPL. “Ha implicazioni per la nostra comprensione di altre lune, come Encelado ed Europa, e persino di esopianeti e super-Terre. Le nostre nuove scoperte offrono l’opportunità di ripensare a ciò che sappiamo sulla formazione e l’evoluzione dei pianeti“.
La sonda ha effettuato il suo 66° sorvolo scientifico sulle misteriose cime delle nubi di Giove il 24 novembre. Il suo prossimo avvicinamento ravvicinato al gigante gassoso avverrà alle 6:22 ora italiana del 27 dicembre. Al momento del perigiovio, quando l’orbita di Juno è più vicina al centro del pianeta, la sonda sarà a circa 3.500 chilometri sopra le cime delle nubi di Giove e avrà percorso 1,039 miliardi di chilometri da quando è entrata nell’orbita del gigante gassoso nel 2016.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo originale su NASA\JPL
- Leggi il paper scientifico intitolato “Io’s tidal response precludes a shallow magma ocean” su Nature