Due studi hanno analizzato lo scioglimento dei ghiacciai in Antartide, ma i titoli dei giornali non fanno altro che allarmare. Ecco cosa sta succedendo.

Capita sempre più spesso di leggere titoli allarmanti sullo scioglimento dei ghiacciai in Antartide. La situazione è certamente molto complessa, ma va anche detto che l’Antartide è ricoperto di ghiaccio da almeno 30 milioni di anni. La calotta glaciale contiene circa 26,5 milioni di gigatonnellate d’acqua (un gigatone equivale a un miliardo di tonnellate): se dovesse sciogliersi, il livello del mare aumenterebbe di quasi 60 metri! E capite bene che un tale scenario si verificherà, forse, fra molti millenni (semmai arriverà).

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I ghiacciai in Antartide rischiano di scomparire? Credit: unsplash

I ghiacciai in Antartide rischiano di scomparire?

È assolutamente normale che si verifichi una modesta perdita di ghiaccio, in Antartide. Ogni anno, infatti, circa 2.200 gigatonnellate (lo 0,01%) di ghiaccio si staccano sotto forma di iceberg, ma è pur vero che le nevicate riequilibrano questa quantità. Il risultato della differenza tra lo scioglimento e le nevicate è la cosiddetta perdita annuale della calotta glaciale. Va detto che questa cifra è aumentata, negli ultimi decenni: da 40 gigatonnellate all’anno negli anni ’80, a 250 gigatonnellate nel 2010.

Questo aumento, però, è un piccolo cambiamento in un processo molto più grande e altamente variabile. La perdita di ghiaccio annuale della Groenlandia, ad esempio, è stata molto altalenante nell’ultimo secolo. E se da una parte lo scioglimento dei ghiacci in Antartide sembra straordinariamente grave, le recenti perdite annuali ammontano solo allo 0,001% del ghiaccio totale che si trova in quell’area. Se le cose andassero avanti di questo passo, il livello del mare aumenterebbe di soli 7 centimetri in 100 anni.

Studiare il passato per capire il futuro

Potreste chiedervi: “sì, ma un pianeta sotto la morsa del riscaldamento globale potrebbe rapidamente andare incontro allo scioglimento dei ghiacciai?”. In realtà è importante capire com’erano i ghiacciai in passato, per prevedere meglio come potrebbero comportarsi in futuro. A tal proposito due studi si sono concentrati sul cosiddetto “capolinea” dei ghiacciai, dove cioè mare e terra si incontrano. Utilizzando un drone sottomarino gli scienziati hanno mappato il fondale a circa 900 metri sotto il livello del mare, a una distanza di 56 chilometri dal capolinea del ghiacciaio Thwaites, in Antartide. Ebbene, le scansioni hanno mostrato una serie di creste sottomarine, la maggior parte alte 20 centimetri. Le creste si formano a causa delle correnti e servono a capire dove il ghiaccio ha toccato il fondale, in passato. Grazie a questi dati, i ricercatori hanno dedotto che in passato il ghiacciò si è ritirato a più del doppio della velocità attuale.

Probabilmente è successo più di 70 anni fa, se non diversi secoli fa. Le cause sono ancora da capire, ma se io leggo un titolo del tipo “Un ghiacciaio delle dimensioni della Florida si sta disintegrando più velocemente di quanto si pensasse” posso sentirmi preso in giro? Un titolo più corretto sarebbe stato: “Il ghiacciaio Thwaites si sta ritirando più rapidamente oggi, rispetto al passato”.

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Un secondo studio ha testato l’idea che l’acqua dolce frutto dello scioglimento di un ghiacciaio potrebbe essere trasportata dalle correnti lungo la costa per accelerare lo scioglimento degli altri ghiacciai vicini. E poiché i modelli climatici attuali non sono sufficientemente dettagliati per descrivere le condizioni dell’oceano vicino alla costa, i ricercatori ne hanno elaborato uno ad hoc. Se le correnti possono collegare lo scioglimento di ghiacciai lontani, questo spiegherebbe la grande variabilità dei comportamenti della calotta glaciale antartica. I media, però, parlano di “un enorme tsunami sommergerebbe New York City, uccidendo milioni di persone: anche Londra, Venezia e Mumbai diventerebbero acquari”. Capite bene che siamo oltre il paradosso. Un titolo più accurato sarebbe stato: “Le correnti oceaniche che collegano i ghiacciai antartici potrebbero accelerarne lo scioglimento”.

Non c’è dubbio che i cambiamenti climatici e le sempre più frequenti emissioni di CO2 nell’atmosfera da parte dell’uomo non stiano aiutando il ghiaccio a riequilibrarsi. Questi due studi non fanno altro che mettere a disposizione la scienza per capire meglio ciò che ci circonda, ma è un peccato che i media travisino la ricerca per dare l’allarme. Ciò impedisce a noi comuni mortali di prendere decisioni consapevoli sul clima, nonché di meravigliarci per la bellezza della scienza stessa.

Riferimenti: The Wall Street Journal