Un nuovo studio ha dimostrato come il modello della Sfera di Dyson, come indice di civiltà extraterrestri avanzate, potrebbe essere superato dallo sfruttamento di interi pianeti. 

Nel 1960, Freeman Dyson propose come civiltà avanzate potessero creare megastrutture che racchiudessero la loro stella, consentendo loro di sfruttare tutta l’energia della stella e moltiplicando lo spazio abitabile che potevano occupare. Nel 2015, la comunità astronomica rimase incuriosita quando la stella KIC 8462852 (nota anche come Stella di Tabby) iniziò a sperimentare cambiamenti inspiegabili di luminosità, portando alcuni a ipotizzare che le variazioni potrebbero essere dovute a una megastruttura. Mentre l’analisi finale della curva di luce della stella nel 2018 ha rivelato che il modello di oscuramento era più caratteristico della polvere che di una struttura solida, la Stella di Tabby ha portato l’attenzione sul tema delle megastrutture e delle loro tecnofirme associate. Oggi un nuovo studio propone come dalla Sfera di Dyson potrebbero arrivare nuove frontiere nella ricerca di civiltà aliene prendendo in considerazione la possibilità dello sfruttamento di pianeti al guinzaglio.

Le idee di Dyson furono proposte in un’epoca in cui gli astronomi non erano consapevoli dell’abbondanza di esopianeti nella nostra galassia. Il primo esopianeta confermato fu scoperto solo nel 1992, e quel numero ha ora raggiunto i 5.514! Con questo in mente, un team di ricercatori di Bangalore, in India, ha recentemente pubblicato un documento che presenta un’alternativa all’intero concetto di megastruttura. Per le civiltà avanzate che cercano più spazio per espandersi, prendere i pianeti all’interno del loro sistema – o catturare pianeti fluttuanti (FFP) al di là – e trasferirli nella zona abitabile circumsolare (HZ) della stella è una soluzione molto più semplice e meno distruttiva.

La Sfera di Dyson

Sfera di Dyson
Rappresentazione artistica di una Sfera di Dyson. Credit: Fraser

La possibilità che civiltà avanzate costruiscano strutture giganti per sfruttare l’energia delle loro stelle è consolidata nel tempo, con esempi che risalgono all’inizio del XX secolo. Nel suo articolo “Ricerca di fonti stellari artificiali di radiazioni infrarosse”, Dyson sosteneva che le motivazioni di una civiltà per costruire una “biosfera artificiale” (in seguito soprannominata sfera di Dyson da Nikolai Kardashev) includerebbero lo sfruttamento dell’energia ma anche la moltiplicazione della quantità di spazio che potrebbero abitare. Partendo dalla probabile possibilità che la civiltà osservata a distanze cosmiche sarebbe stata molto più antica e più avanzata dell’umanità.

Tuttavia, al momento della stesura dell’articolo, Dyson stava lavorando con i limiti dello spazio abitabile all’interno del nostro Sistema Solare, che è confinato sulla Terra. Ma i vari corpi del Sistema Solare (in particolare Giove e i giganti gassosi) contengono un’enorme quantità di materiale che potrebbe (in teoria) essere riutilizzato per creare una biosfera artificiale. Usando Giove come esempio, Dyson sostenne che la massa del pianeta era sufficiente a creare un guscio sferico attorno al Sole di circa 2-3 metri di spessore con una densità di “200 grammi per centimetro quadrato”.

Inoltre, ispirato dai recenti progressi nell’astronomia a infrarossi, Dyson suggerì come i ricercatori del SETI potessero cercare prove di queste strutture nella nostra galassia attraverso le loro tracce di calore. Carl Sagan e Russel Walker suggerirono nel 1966 nel documento “The Infrared Detectability of Dyson Civilizations” di cercare le civiltà Dyson utilizzando telescopi spaziali IR. Gli astronomi continuano ancora oggi a cercare tali oggetti, anche se fino ad ora con risultati negativi, perché il concetto non è limitato al tempo: qualsiasi civiltà a lungo termine (cioè che dura per migliaia di anni) potrebbe alla fine richiedere l’intera produzione di energia della propria stella ospite.

I problemi delle megastrutture

La foto dell’incredibile eruzione solare fotografata dalla sonda Solar Orbiter il 15 Febbraio 2022. Credits: Solar Orbiter/EUI Team/ESA & NASA

Inoltre, sulla base della nostra attuale comprensione dei corpi planetari, il team ha trovato diversi problemi con i calcoli e le ipotesi originali di Dyson. Ad esempio, la premessa di Dyson di utilizzare Giove come risorsa non riconosceva che solo una frazione della massa di Giove (circa il 13%) potesse essere utilizzata per scopi di costruzione. Ciò include l’interno roccioso e il nucleo metallico, mentre l’idrogeno e l’elio (che rappresentano l’87% della sua frazione di massa) non potrebbero essere praticamente utilizzati come materiali da costruzione. Inoltre, l’abbondante idrogeno potrebbe essere utilizzato nei reattori a fusione, offrendo una soluzione molto più semplice e pratica a qualsiasi crisi energetica.

La proposta di Dyson si basava sulla teoria secondo cui la crescita della popolazione supererà invariabilmente le risorse di base di una specie (nota anche come teoria malthusiana). Ma essa è stata ampiamente criticata per non aver preso in considerazione il progresso tecnologico e altri fattori che influenzano le dinamiche della popolazione.

Lo studio sostiene inoltre che racchiudere una stella come il nostro Sole intrappolerebbe tutto il suo vento solare al suo interno, portando alla scomparsa dell’eliosfera ed esponendo la sfera di Dyson a livelli elevati di raggi cosmici, danneggiando potenzialmente la biosfera al suo interno. Per costruire una simile megastruttura, dovremmo quindi consumare tutti i pianeti interni e alcuni dei pianeti esterni, distruggendo completamente il Sistema Solare come lo conosciamo ora, inclusa la Terra con la sua biosfera unica. Ciò va anche contro il principio di Protezione Planetaria – le politiche delle Nazioni Unite che regolano la conservazione dei corpi del Sistema Solare e ci toglierebbe protezioni come la gravità di Giove che devia e ci protegge dall’impatto con numerosi asteroidi.

L’interno di una sfera di Dyson solida non avrebbe gravità a meno che non stia ruotando, e solo all’equatore la gravità sarà il solito 1 g. L’illuminazione sarà continua senza notti e l’interno con una superficie simile alla Terra rifletterà la luce solare con l’albedo terrestre, rendendo il cielo molto più luminoso di una Terra illuminata di giorno. Poiché il nostro Sole rimarrà la stessa stella attiva, non ci sarebbe protezione dai brillamenti solari, dalle CME, dal vento solare, e dagli altri elementi poiché non ci sarebbe un campo magnetico naturale.

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Pianeti al guinzaglio

Rappresentazione artistica dei sette pianeti di TRAPPIST-1. L’immagine non mostra le orbite dei pianeti in scala, ma evidenzia le come potrebbero apparire le superfici di questi esopianeti. Credits: NASA/JPL-Caltech

Ai tempi di Dyson, si presumeva generalmente che la maggior parte delle stelle avesse un sistema formato da almeno un pianeta. Sulla base dei dati ottenuti dal telescopio spaziale Kepler e da altri rilevatori di pianeti – come Hubble, TESS e il James Webb Space Telescope – gli astronomi stimano che potrebbero esserci almeno 100 miliardi di pianeti nel pianeta solo nela nostra Via Lattea. E recenti ricerche hanno anche rivelato che potrebbero esserci fino a un trilione di pianeti fluttuanti (FFP) o “pianeti canaglia” nella nostra galassia.

Se questi pianeti potessero essere spostati nella zona abitabile di una stella, aumenterebbero esponenzialmente il patrimonio immobiliare di una civiltà. Come ha spiegato il team, una civiltà avanzata potrebbe anche importare nuovi pianeti in base alle necessità nel tempo e/o designare pianeti per scopi diversi. Non sarebbe necessario distruggere interi sistemi planetari, si potrebbe portare dentro un pianeta, usarlo, poi buttarlo fuori dal sistema e portarne un altro.

Nel loro articolo, il team ha mostrato come pianeti ricchi di acqua come Marte o Plutone, o molti oggetti transnettuniani ghiacciati (TNO), potrebbero essere spostati nella zona abitabile del Sistema Solare utilizzando potenti array laser. Questi laser dovrebbero essere nella gamma di potenza Zetawatt o Etawatt (10-24 W), il primo dei quali viene già utilizzato per la ricerca sulla fusione nucleare. Secondo le loro stime, la potenza e l’energia totale utilizzate sarebbero diversi ordini di grandezza inferiori a quanto necessario per distruggere Giove (e altri pianeti) per costruire una sfera di Dyson.

Oltre ai benefici materiali, una civiltà avanzata in grado di spostare i pianeti nel proprio sistema potrebbe anche alterare la meccanica orbitale di questi mondi. Questa idea fu chiarita anche da Tsiolkovsky nel 1895, dove scrisse di persone avanzate che potevano alterare i cicli giornalieri, la durata dell’anno e le temperature stagionali sui loro pianeti ogni volta che ne sentivano il bisogno. Naturalmente, questo studio solleva la questione di come i ricercatori SETI potrebbero cercare tali civiltà e quali “tecnofirme” produrrebbero.

Mentre Dyson ha mostrato come le megastrutture potrebbero essere rilevate dalle loro firme nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso, il team indiano indica che i sistemi di pianeti ingegnerizzati produrrebbero tecnofirme distinte – potenti raggi laser a banda stretta – che sarebbero rilevabili su distanze di centinaia o addirittura migliaia di anni luce. Ciò è coerente con le raccomandazioni del Prof. Philip Lubin, professore di fisica alla UC Santa Barbara e leader dell’UCSB Experimental Cosmology Group (ECG). Nel 2016, il Prof. Lubin ha pubblicato un articolo in cui indicava che una civiltà avanzata potrebbe essere rilevata cercando “spillover” da array laser.

Questi laser potrebbero essere utilizzati per la comunicazione, la propulsione e la difesa degli asteroidi: le stesse applicazioni che Lubin e i suoi colleghi dell’ECG stanno ricercando per l’uso qui sulla Terra (inclusa la missione Breakthrough Starshot). Nel 2018 è stato pubblicato il Technosignature Report della NASA che includeva “comunicazioni ottiche”, propulsione laser e altri metodi di energia diretta come tecnofirme praticabili. Inoltre, il team ha spiegato come i sistemi ingegnerizzati avrebbero un profilo molto diverso da altri sistemi offrendo anche alcuni potenziali esempi che i ricercatori SETI potrebbero esaminare nei prossimi anni.

Se i pianeti sono disposti in modo strano, cioè le masse dei pianeti si alternano da un pianeta all’altro (come un gigante gassoso, un pianeta terrestre, poi un pianeta terrestre e un altro un gigante gassoso – come il sistema Kepler-20), allora potremmo ritenere che queste insolite alternanze siano state realizzate artificialmente. Sistemi planetari come Kepler-20, o TRAPPIST-1, dove molti pianeti rocciosi simili alla Terra (di piccola massa) sono disposti vicino alla loro stella, a una distanza inferiore all’orbita di Mercurio, sono un’altra possibile indicazione di un’avanzata astroingegneria extraterrestre. Sembra insolito vedere così tanti pianeti di tipo terrestre in una zona così ristretta a breve distanza dalla loro stella. Ciò potrebbe suggerire che tali pianeti potrebbero essere stati spostati deliberatamente nella zona abitabile delle loro stelle madri.

In conclusione gli scienziati dello studio raccomandano agli astronomi di cercare strane architetture esoplanetarie come uno dei parametri di ricerca quando cercano biofirme e tecnofirme. I futuri sforzi del SETI potrebbero includere la ricerca di sistemi modificati o sistemati che indichino la presenza di più pianeti abitabili, “mondi di servizio” e comunicazioni e infrastrutture avanzate tra di loro. E forse alcuni sistemi potrebbero anche includere più stelle, ciascuna con la propria disposizione a supporto di pianeti che ospitano una civiltà.

Fonte: Science Alert, Arxiv